Bob Dylan, Terme di Caracalla, Roma (29-6-2015) | foto: Paolo Brillo

In Concert

Bob Dylan & Band live al Lucca Summer Festival, 1/07/2015

Qualche mese fa quando ho intervistato Joan Baez, ad una mia specifica richiesta sul fatto che Dylan avrebbe pubblicato un disco di canzoni tratte dal repertorio di Frank Sinatra, lei mi ha risposto: “Dylan è Dylan, può fare quello che vuole”.
Niente di più vero. Dylan è Dylan e può fare quello che vuole.
E’ quello che mi ripeto ogni volta che lo vedo dal vivo, che voglio discutere il suo modo di fare musica, che voglio criticare la scaletta, che oso pensare che lui dovrebbe… Dovrebbe cosa? Dylan è Dylan e basta. Lo vuoi vedere, bene. Non vuoi, stattene a casa. Dylan è il più grande, non era, è. Per cui, ogni discussione, ogni critica, è vana. Anzi inutile.

Ogni volta che lo vedo mi chiedo come mai sceglie una scaletta come quella con cui ha percorso l’Italia agli inizi di Luglio: una scaletta discutibile (questo lo posso dire), interpretata talvolta in modo discutibile (questo…). Il problema è che, a 74 anni, non ha più la voce di una volta (non vuole? Non ha? Credo più alla seconda possibilità), quindi certe canzoni le interpreta in modo diverso. Questo vale in parte per certi arrangiamenti, ma solo in parte. Poi bisogna pensare che, dopo cinquant’anni on the road, uno si possa rompere di fare sempre le stesse canzoni e di farle allo stesso modo. Giusto cambiarle (io non sono molto d’accordo, altri lo sono). Ma poi, a conti fatti, cosa significherebbe? Che tutti potrebbero capire cosa canta e che invece, puntualmente, non accade.

A Lucca c’era una coppia di fianco a me e Anna, e la signora era felicissima per il concerto, ma aveva un rammarico: Dylan non aveva cantato la sua preferita, Blowin’ In The Wind. Gentilmente le ho detto che era la penultima, quella prima di Love Sick e la signora, molto sorpresa ci è rimasta un po’ male ma, proprio, non l’aveva riconosciuta. E questo è il fatto più grave (se posso usare il termine) riguardo ai concerti del Maestro. Ma Dylan è Dylan… Eppure questa volta Blowin’ in The Wind non era affatto male, morbida, quasi a tempo di valzer, con il violino di Herron dietro la band e lui, con quella voce rauca che tanto ricorda Tom Waits, a lanciare il suo How Many Times, How Many Roads

Ma anche Simple Twist of Fate e la straordinaria Tangled Up in Blue avevano segnato in positivo la serata: canzoni strepitose, suonate con gusto dai dylaniati sul palco, con un cenno in particolare per il misuratissimo Charlie Sexton . Ci sono alcuni brani, considerando il repertorio del maestro, che mi sento di criticare, in quanto ce ne sono molti di migliori: parlo dei vari (uno simile all’altro, purtroppo, anche troppo simile, almeno nella versione Live) Duquesne Whistle, Pay in Blood, Early Roman Kings, Spirit on The Water, High Water, Scarlet Town. Brani rock, con influenze blues, suonati in modo quasi metallico dalla Dylan Band. Poco distinguibili, è vero, anche decisamente meno belli e affascinanti di buona parte del suo repertorio classico. Ma Dylan è Dylan… E, questo lo penso io e forse mi sbaglio, non vuole fare più Dylan, almeno quello che noi vorremmo che lui facesse. Il Dylan classico, quello che abbiamo ammirato quando a capo della band c’era, tanto per fare un nome, Larry Campbell. Il Dylan che ci regalava canzoni come Knockin’ on Heaven’s Door, Queen Jane Approximately, Desolation Row, Visions of Johanna, Girl of the North County, Mr Tambourine Man, It’s All Over Now Baby Blue, The Times They Are A Changin, Don’t Think Twice, It’s All Right e via di questo passo.

Adesso c’è una canzone, Forgetful Heart, che segna il passo e che, mi dà questa idea, mostra una voglia di cambiamento. E poi ci sono i due brani tratti dal suo recente lavoro dedicato a The Voice: Shadows in The Night. Proprio in questi due brani che, guarda caso, chiudono la prima (Full Moon and Empty Arms) e la seconda (Autumn Leaves) parte del concerto, Dylan cambia voce. Si fa riconoscere. Non si nasconde. Dylan però non è Dylan in questo caso ma un crooner, un interprete. Non fa le sue cose, ma quelle rese celebri da The Voice, cioè Frank Sinatra. Dylan che interpreta diventa di nuovo Dylan, mentre Dylan che fa sé stesso si nasconde dietro un’altra voce, un altro suono. O forse mi sbaglio?

PS: Prima di Dylan ha suonato per più di un’ora Francesco De Gregori con la sua super band: dove Francesco ha fatto De Gregori. Con gusto e passione e anche po’ di voglia di strafare. Ma, tutto sommato, un’ora godibile. La serata si è svolta in una piazza Napoleone stracolma. Mai visto tanta gente (diecimila?), un pubblico caldo, anche competente, che ha gustato appieno la serata. Una grande serata.

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