foto: Rodolfo Sassano

In Concert

Bruce Springsteen & The E Street Band live a Zurigo, 31/07/2016

BRUCE SPRINGSTEEN
THE ZURIGO REVISITED, 31 luglio 2016

C’era una specie di celebrazione che accompagnava, fin dal suo annuncio, il concerto di Bruce Springsteen il 31 luglio 2016 al Letzigrund Stadion di Zurigo perché proprio in quella città, sebbene nel più piccolo e coperto Hallenstadion, aveva avuto inizio quella febbre che negli anni era salita fino a diventare una sorta di mitologia rock, il momento in cui molti italiani, per la prima volta, ebbero finalmente la fortuna di vedere in concerto il più grande performer del rock n’roll.

Serpeggiava tra i tanti veterani di quell’11 aprile del 1981 e tra i molti divenuti fans di Springsteen attraverso quelle testimonianze e quei racconti, una sorta di debito verso quel concerto e quella città, un voler tornare a dove era iniziato tutto, magari per ritrovarne fantasmi e “reliquie”. Si sperava che il concerto si aprisse con Factory come era successo 35 anni fa, oppure che il rivisitato The River Tour di oggi riproponesse in una sola sera quella sequenza da antologia della ballata che univa Independance Day a Wreck On The Highway, Darkness On The Edge of Town a Racing In The Streets per poi incendiare tutto con Ramrod, con la Detroit Medley e coi due omaggi a John Fogerty ovvero Who’ll Stop The Rain e Rockin’ All Over The World.

E invece così non è stato perché la pioggia che ha funestato la giornata è stata scacciata non con la mitica canzone dei Creedence ma con una ben più scialba Waitin’ On A Sunny Day dove si è consumato il siparietto del bambino sul palco a cantare il ritornello, che delle ballate crepuscolari di The River non se ne sia visto nemmeno l’ombra, che Factory all’inizio del concerto sia rimasta un sogno, seppur rimpiazzata da una veemente Prove It All Night, secondo pezzo dello show del 1981 e che il finale con Detroit in fiamme sia stato cancellata in favore del sabba gospel a mani alzate di Shout e da una Twist and Shout che ha avuto il merito di chiudere lo show non con un episodio acustico ma con una ode ai piaceri carnali e danzerecci del rock n’roll.

Certo la scaletta di Zurigo 2016 non è stata emozionante e profondamente intensa come altre date di questo rivisitato The River Tour del 2016 e per essere l’ultima data dell’appendice europea qualcosa di più ci si poteva aspettare in termini di brividi alla schiena e malinconie notturne ma lo show è stato veloce, dinamico, sciolto e disinvolto proprio per via di una performance brillante dove Bruce e la E Street Band sono sembrati più in forma del concerto del 3 luglio da me visto a Milano, sia per la voce dell’artista che per la rilassatezza in generale e per la precisione dei musicisti.

A Milano sono stato travolto dal crescendo di emozioni, intensità e visioni, a Zurigo Bruce e la E-Street Band hanno suonato liberi e rilassati, divertiti e divertenti, capaci in modo diverso di trasmettere gioia, allegria, benessere, senza troppi messaggi ma col puro potere del rock n’roll. Una festa e una goduria nonostante la pioggia, battente prima del concerto, gestibile durante. Certo dopo aver letto la scaletta di Oslo con l’intero The River di qualche giorno prima e con tutte quelle ballate romantiche si rischiava il capogiro e ci si aspettava il concerto dei concerti ma il Boss è andato per la sua strada, ha cambiato ancora seguendo il proprio istinto e assecondando in parte le richieste del pubblico del pit, mai come in questa occasione visibile come un popolo di più nazionalità e culture, che lo ha seguito per mezza Europa, fraternizzando, mischiandosi e mischiando le emozioni e a cui Bruce ha dedicato una bellissima Marys’ Place dove senza tanti giri di parole ha cantato Familiar faces around me, laughter fills the air, your loving grace surrounds me e prima di andarsene, dopo il gran finale di Born In The Usa/ Born To Run/ Ramrod/ Dancing In The Dark/ 10th Ave. Freeze Out/Shout/Twist and Shout, ha salutato dicendo «Always get a an incredible welcome over, it’s been a great adventure».

Ma in generale l’atteggiamento di Bruce e la E-Street Band questa volta è apparso meno messianico ed epico. Piuttosto del tipo, beh, anche questa è fatta, l’Europa l’abbiamo “conquistata”, soddisfatta e appagata, stasera prendiamocela in scioltezza, non c’è nessuna scaletta da rispettare, nessun dovere verso il pubblico se non quello di farlo divertire e ballare, nessun The River da celebrare, mettiamocela tutta ma andiamo a ruota libera, vediamo cosa dicono i cartelli e rilassiamoci, bagnati e felici. It’s only for fun. E così è stato, non una scaletta memorabile, nonostante pezzi da novanta eseguiti in maniera grandiosa, come la commovente Jungleland dove finalmente Jakob Clemons ha sfiorato la grandeur lirica dello zio, una Spirit In The Night più convincente di quella ascoltata a Milano 1, una tostissima e rabbiosa Murder Inc. seguita a razzo da American Skin in una sorta di amara riflessione sulla violenza che attraversa la sua America di questi giorni, una mai così romantica Bobby Jean punteggiata da un Roy Bittan semplicemente sublime ed il bianco e nero di Atlantic City, una sferzante Beacuse The Night dove Lofgren ha agguantato l’apoteosi del suo assolo elettrico, lo scatenato e divertente tripudio rock n’roll di Ramrod dove Bruce e Little Steven hanno fatto i cazzari come ai vecchi tempi e quella My Love Will Note Let You Down che molti continuano a sottovalutare nonostante sia una ballata rock con una coda chitarristica ed un crescendo da far paura.

Indulgente con il karaoke del pubblico, proprio per santificare l’ultima data europea, sono uscite fuori richieste abbastanza inusuali come l’intima None But The Brave, contraddistinta dal sax di Jake Clemons quasi impreparato ad affrontare una simile rarità ma imbeccato da Bruce su come dovesse comportarsi nel pezzo e come Roll Of The Dice ripescaggio di Human Touch con tutto il suo carico di gospel e R&B ma proprio per essere stata registrata senza la E-Street Band introdotta ripetendo più volte «Are you ready to gamble with the E-Street Band?».

E poi la bella Jole Blon con cui è rispuntato il nome di Gary U.S Bonds (era nel suo magnifico Dedication) ed in cui la E-Street Band si è trasformata in orchestrina cajun/zydeco con Soozy Terrel al violino e Charlie Giordano alla fisarmonica. None But The Brave è una rarità d’accordo ma molta “cartellonistica” sembra più dettata da pruriti di nicchia che da una sincera richiesta di musica. Ognuno ha i suoi gusti ma perché nessuno innalza mai un cartello con su scritto Night o Meeting Across The River o Fever o Hearts of Stone o It’s Hard To Be A Saint In The City per non dire di di Take’Em As They Come e Stray Bullet per rimanere nella nicchia più estrema. C’era qualcuno che chiedeva Blood Brothers e Candy’s Room ma non è stato esaudito, peccato.

Il pubblico svizzero è meno caldo di quello italiano, non è una novità, a momenti sembrava più interessato a comprarsi le birre che seguire le canzoni, tanto che ad un certo punto ho dovuto avanzare di brutto per evitare il passaggio di chi portava continuamente birra agli amici ma ciò mi ha permesso, sebbene privo di braccialetto d’ordinanza e biglietto”giusto”, grazie ad un tacito assenso di uno dello staff che parlava italiano convinto in pochi istanti con un lapidario «Ero qui 35 anni fa quando magari tu non eri nemmeno nato e diversi italiani che sono ancora qui oggi si ricordano di quella mia cronaca a Zurigo nel 1981, per favore vuoi forse impedirmi di farmi vedere il Boss da vicino?», di entrare clandestinamente nel pit e godermi lo spettacolo a due passi dal Boss ( peccato avessi lasciato in macchina lo smartphone ma è il segno che appartengo ad un’altra generazione).

C’è da dire che il Letzigrund Stadion. famoso per i molti record di atletica lì battuti, è uno stadio a dimensione umana, 30 mila posti circa, si vede bene in ogni ordine di posto, lo avevo verificato due anni fa coi Rolling Stones, e l’audio, almeno nel prato, è eccellente. Quindi a conti fatti anche se non ho potuto chiudere gli occhi sognando sulle note di Stolen Car, Price You Pay e Wreck On The Highway è valsa la pena tornare 35 anni dopo sul luogo dove è nato tutto e chiudere il cerchio con The River, sparandosi 300+300 km in un solo giorno, tra montagne spruzzate di neve, verdi vallate, campanili gotici, laghi alpini e pioggia ottobrina, con la Svizzera che sembra così perfetta ma in realtà non lo è visto che passata la mezza notte è impossibile trovare un autogrill aperto dove poter soddisfare il retrogusto di una magnifica giornata con una tavoletta di cioccolato. Senza contare l’ora e mezza di attesa per entrare nel tunnel del Gottardo, traffico regolamentato dopo il brutale incendio di qualche anno fa, incolonnati in una fila interminabile di macchine di turisti rientranti dalle vacanze, svizzeri che partivano per il weekend della loro festa nazionale (il primo agosto si festeggia Guglielmo Tell) e italiani sorridenti ma preoccupati di non arrivare in tempo per assistere all’ultimo atto di un tour che in molti, me compreso, verrà ricordato a lungo.

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