Foto: Rodolfo Sassano

In Concert

Fat White Family live a Milano, 19/11/2015

E poi arriva una band a ricordarti quello che il rock forse dovrebbe sempre essere: uno sputacchio irreverente, l’espressione della a volte autodistruttiva vitalità giovanile, la spinta a essere se stessi in barba a convenzioni ed aspettative. I Fat White Family arrivano dal sud di Londra e si portano dietro un carico di storie legate al loro conto che hanno già del leggendario, tipo quella volta che entrarono con un asino in un pub, dei concerti che alcuni di loro hanno suonato nudi come mamma li ha fatti (da noi, se ne ricorderanno di certo gli spettatori di un paio di edizioni fa dell’Ypsigrock), di quelli interrotti a causa del delirio creatosi tra palco e pubblico (e qui ne sono stato testimone io stesso, all’End Of The Road  di quest’anno, dove dopo 20 minuti il concerto è stato sospeso).

In un Magnolia meno affollato di quello che si sarebbe potuto supporre, hanno inscenato la loro iconoclasta follia ancora prima di salire sul palco. Il folk sparato a tutto volume dalle casse del locale, tra la performance del gruppo spalla e la loro, è infatti un’idea del frontman della band, Lias Saoudi, messosi a fianco al tecnico del suono, a cui continua ad urlare “Louder, louder!”, a scegliere i pezzi. Appena parte Take Me Home, Country Road di John Denver, vistosamente ubriaco, Lias sale sul palco a cantarla al microfono, che ovviamente è spento. Raggiunto quindi dalla band, così inizia una bruciante ora di show, sfasatissima, alcolica, selvaggia e brutale.

Con un chitarrista in meno, rispetto al solito, e quindi con una formazione assestata a voce, organo, chitarra, basso e batteria, i Fat White Family, dal vivo, sono parsi un viscerale mix tra Clash e Doors, serviti tramite l’animalesca indole del primo Nick Cave e del Jon Spencer che fu. Le canzoni di Champagne Holocaust – e quelle del nuovo Songs For Our Mothers, in uscita a gennaio – vengono seppellitte da tonnellate di riverbero, diventano infinitamente più rumorose, pericolose come l’asta che Saoudi continua a brandire, con ben poca cura di possibili conseguenze, verso il pubblico.

I loro dischi non riescono a testimoniare a sufficienza la grandezza dei Fat White Family quale band. E non è una questione di quanto questi possano o meno essere registrati bene, è proprio il fatto che il palco è il terreno ideale per farsi prendere a calci nel culo da questi pazzi scatenati che ingollano una birra via l’altra, il posto preciso in cui godere della loro musica. Corteggiano il caos i Fat White Family, riuscendo miracolosamente a non scivolarci dentro, stando però sempre sull’orlo del baratro. Questo almeno fino agli ultimi scampoli di concerto, in cui Saoudi si getta nel pubblico, il chitarrista s’arrampica a testa in giù, con tanto di chitarra a tracolla, per le travi sul soffitto e qualcuno degli astanti azzarda lo stage diving, anche se il numero di persone presenti non lo suggerirebbe. È l’apoteosi, l’approdo inevitabile di una serata divertentissima, di quelle che non si dimenticano. La prossima volta, non perdeteveli per nulla al mondo!

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