Foto: Rodolfo Sassano

In Concert

Iron & Wine live a Milano, 5/2/2018

Coi tempi che corrono, un po’ di prudenza è sicuramente necessaria, ma forse stavolta gli organizzatori del concerto milanese di Iron & Wine avevano peccato di eccessivo pessimismo. Non solo si è dovuti correre ai ripari e spostare la performance dal Santeria Social Club al ben più capiente Alcatraz, ma alla fine, anche in questa nuova sede, il concerto è andato addirittura sold out. Bellissima e, devo dire, inaspettata notizia anche per il sottoscritto, che forse non immaginava una simile popolarità per Sam Beam e la sua creatura musicale.

Affluenza di pubblico da grande occasione invece e neppure di quello occasionale, visto che è parso chiaro fin dalle prime battute che l’audience era di quelle partecipi, affettuose, molto preparate sull’intero repertorio, tanto che Beam stesso ha finito col rimanere sorpreso ed emozionato da tanto calore e attenzione (È incredibile, dopo aver attraversato un oceano e tutti quegli altri noiosi paesi europei, trovare una stanza piena di nuovi amici, ha detto con un sorriso ad un certo punto).

La serata era stata aperta dagli Half Waif, solo project di Nandi Rose Plunkett, già tastierista nei Pinegrove. Al posto dell’Americana di questi ultimi, però, il territorio d’azione è quello di una moderna canzone pop, quasi sempre caratterizzata da melodie malinconiche ed eteree e da trame strumentali minimali basate su piano e tastiere, sul beat di una batteria sia acustica che elettronica e su qualche scheletrica linea di basso (completano la band Zack Levive e Adan Carlo). La voce della Plunkett è indubbiamente bella e lei è anche simpatica, ma il tutto, quantomeno a primo ascolto, suona eccessivamente monocorde e senza grossi guizzi, oltre che fin troppo basico musicalmente per rimanere realmente impresso nella memoria o riuscire a creare un qualche sussulto emotivo.

Tutt’altra storia quando sul palco salgono Beam e compagni: bastano le prime note di The Trapeze Swinger per capire che questo sarà un concerto speciale. Con lui, ovviamente alla voce e alle chitarre acustiche, ci sono quattro musicisti eccelsi (piano e organo/basso e contrabbasso/violoncello/batteria e percussioni), i quali confersiscono a ciascun pezzo un sound vibrante ed organico, dalle sfumature e dalla brillantezza jazzate, assolutamente perfette per le stupende canzoni di Beam, il quale non si limita banalmente a riproporre il suo ultimo, ottimo album (ne trarrà solo una manciata di brani), ma da vita ad un’esplorazione del suo intero repertorio che arriva a lambire i suoi ormai lontani esordi, con brani di purezza adamantina come Lion’s Mane o Bird Stealing Bread.

Le sue sono canzoni folk/cantautorali che starebbero in piedi anche con sola voce e chitarra (così era all’inizio e anche stasera ci sono infatti un paio di brani che propone in questa veste), che si reggono sulla forza di melodie carezzevoli al confine con la grazia del miglior pop, stasera vengono rese ancor più emozionanti da un susseguirsi di raffinatezze sonore, siano esse un intro di contrabbasso dissonante, lo scampanellio e la varietà del tessuto percussivo, gli intarsi di un violoncello pizzicato o le coloriture malinconiche del pianoforte e dell’organo.

Il tutto finisce per suonare letteralmente paradisiaco, suggestione accresciuta dalla semplice, ma efficace scenografia, con i musicisti sormontati da una serie di soffici nuovolette dai colori cangianti. A partire dal pimpante ed uptempo pop di Grace For Saints And Ramblers, che arriva proprio dopo i pezzi acustici, il concerto si fa anche un po’ più movimentato, con le melodie di brani come Passing Afternoon, di una riarrangiata Boy With A Coin o con l’elettrizzante tensione del violoncello trasformato quasi in una chitarra elettrica in assolo di una bellissima Woman King, a mandare ancor più in visibilio tutti gli astanti.

Beam ringrazia a ripetizione, dice che dovrebbe tornare in Italia più spesso (ricevendo in risposta da una ragazza un torna il mese prossimo! che lo fa ovviamente scoppiare a ridere) e chiude il tutto con una Fade Into You, cover di un pezzo dei Mazzy Star in punta di plettro, che lascia un nugolo di note a galleggiare nell’aria, quasi a simbolo di una serata autenticamente magica.

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