Recensioni

John Cougar Mellencamp, Dallas 1988 – The Classic Texas Broadcast

mellencamp-dallas1988JOHN COUGAR MELLENCAMP
Dallas 1988 – The Classic Texas Broadcast
Zip City
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Grazie al recente diluvio di trasmissioni radiofoniche confezionate in forma di CD, occasione resa possibile da una sfumatura delle leggi inglesi sul diritto d’autore che permette di ricorrere senza limiti all’espediente, sono spuntati come funghi non so quanti titoli dal vivo di John Mellencamp, ancora o non più «Cougar», ma nessuno, forse, tirato e febbricitante quanto questo Dallas 1988 – The Classic Texas Broadcast, registrazione di un concerto texano dalla tournée di The Lonesome Jubilee, l’album col quale l’artista dell’Indiana, nello stesso anno, aveva portato allo stato dell’arte il suo recupero delle radici corretto con irruenza mozzafiato.

Non credo si tratti di un’esibizione integrale perché gli standard di Mellencamp, in quel periodo, esondavano di parecchio il limite dei settanta minuti qui circoscritti in un singolo disco, eppure, e in parte proprio grazie alla sua relativa concisione, l’effetto di questi quattordici brani è quello di una corsa ininterrotta e selvaggia tra gli episodi più movimentati tra quelli (allora) disponibili nel catalogo dell’autore, dal roots-rock al fulmicotone delle varie Paper In Fire e Check It Out fino all’abrasività stonesiana di una furiosa Play Guitar in medley con il Van Morrison di Gloria e i Troggs di Wild Thing, dal taglio quasi punk di una fiammeggiante Rumbleseat all’apoteosi tra Mitch Ryder e James Brown di una convulsa Authority Song, qui tirata per oltre sei minuti.

Spesso considerato, a torto, un’espressione poco creativa di quel Midwest tutto muscoli e poco cervello, o ancora peggio un Bruce Springsteen dei poveri, Mellencamp ha in realtà descritto con onestà e sincera vocazione ribelle il disorientamento di una generazione cresciuta all’ombra dei grandi inni e delle grandi formazioni degli anni ’60 e subito dopo ritrovatasi a fare i conti con il disastro economico dei decenni successivi: il suo viaggio si è tradotto in un continuo, spesso coraggioso ripensamento del proprio contesto di nascita, bucolico e piccolo-borghese, le cui tradizioni il nostro ha saputo rielaborare incessantemente.

Mellencamp non ha mai sbagliato un disco per davvero, neanche nelle parentesi più controverse, ma sarebbe difficile non inquadrare il suo periodo migliore nelle stagioni comprese tra il grande successo nazionale di American Fool (1982) e la seconda metà degli anni ’90, foriera di album tanto originali quanto ambiziosi: di questo lungo arco di tempo, Dallas 1988 – The Classic Texas Broadcast presenta una delle apoteosi riconosciute, incastonata tra la rabbia giovanile di fucilate rockiste come Jack & Diane o Hurts So Good e celebrazioni della vita di provincia (Small Town, Lonely Ol’ Night), tra il furore operaio di una devastante Rain On The Scarecrow e la trascinante cascata di violini in Cherry Bomb, tra i sussulti irresistibili di R.O.C.K. In The U.S.A. e l’orgoglio di una Pink Houses trasformata in vero e proprio gospel laico per 10’ di costante intreccio con i boati, l’esaltazione, la gioia e i sogni del pubblico. Tutte cose già note, è vero, ma ritrovare l’America e gli americani, colti tra le pieghe della storia, come accade nelle canzoni di John Mellencamp, era e resta un’esperienza travolgente.

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