foto: Rodolfo Sassano

In Concert

Primus live a Sesto San Giovanni, 13/6/15

Alla faccia di quanti ancora imperterriti continuano a pogare ai loro concerti, la prima considerazione da fare è che i Primus di oggi non sono più quelli di ieri e, col senno di poi, forse anche quelli dell’epoca non erano quello che in molti pensavano essere. Se pure è vero che è nella comunità hardcore-punk americana che mossero i primi passi, col tempo hanno reso sempre più evidenti quelli che erano i loro modelli, poi centrifugati e rimasticati in un suono che era e rimane unico e personalissimo.

Tutto ciò è parso quanto mai evidente in quest’unica data italiana del loro recente tour, diviso in due distinti set, che a causa di una foratura in una gomma del tir che portava l’attrezzatura, rischiava se non di saltare, quantomeno di venir eseguita in forma ridotta (lo ha raccontato lo stesso Claypool: Potrei farvi credere che eravamo dietro a farci di cocaina, ma voglio dirvi la verità, spiegando i motivi del ritardo nell’apertura dei cancelli). Tutta la prima ora ha visto la formazione eseguire un concerto classico, ed è proprio sui loro pezzi più famosi che si vede come i Primus di oggi siano molto più vicini ad una jam band, che al presunto crossover che fu.

Le dilatazioni a cui viene sottoposta, ad esempio, American Life, ci parlano di una band che ha tra le sue corde i Grateful Dead come i Pink Floyd, i King Crimson come Captain Beefheart o Zappa. Nomi che si rincorrono in mezzo a molti altri, vedi i Led Zeppelin di Dazed And Confused citati all’interno di una liquida Over The Falls; il country come avrebbero potuto intenderlo i Minutement nella sempre fenomenale Wynona’s Big Brown Beaver; l’omaggio a Sergio Leone, indicato come una vera influenza, di una saltellante Lee Van Cleef. E se in pezzi come Those Damned Blue-Collar Tweekers la furia di un tempo si stempera tra pause e ripartenze, allunghi strumentali ed improvvisazioni, questa la ritroviamo intatta fondamentalmente in una My Name Is Mud durissima ed in una Jerry Was A Race Car Driver sempre fulminante. La seconda parte dello show, con Claypool, LaLonde e Alexander raggiunti dal Fungi Ensemble (ovvero un vibrafonista ed un violoncellista), li vede intenti a suonare per intero tutto il loro ultimo album, basato sulle musiche del film “La Fabbrica di Cioccolato”. Due enormi fungoni e tante enormi caramelle colorate appaiono sul palco; dietro di loro le immagini del film scorrono deformate e montate come se a farlo fosse stato uno imbottito di LSD. Il tutto diventa una sorta di allucinazione onirica, un viaggio all’interno di uno specchio delle meraviglie o l’incubo creato da assunzione di sostanze psicotrope, contrappuntato poi dall’ingresso sul palco dei bizzarri Oompa Loompa, come su disco ripetuto almeno 4 volte.

Dovendo sintetizzare, un riuscitissimo gesto di coraggio, visto che il grosso del pubblico avrebbe probabilmente preferito uno show tradizionale dall’inizio alla fine. Quasi inutile citare l’enorme bravura di tutti i musicisti: dal solito funambolico Claypool, passando per i mirabili tocchi di LaLonde (un misto tra Gesù Cristo e Chewbacca, secondo Claypool), per i poliritmi di Alexander o per gli interventi dei due del Fungi Ensemble, sul palco coi Primus anche in uno dei tre bis eseguiti alla fine, una esagerata Southbound Pachyderm. Grande concerto insomma, con un unico appunto da fare sulla qualità audio, ad un livello accettabile giusto nelle prime file e con un volume veramente troppo basso. Probabile che c’entrino i regolamenti comunali, comunque una gran seccatura.

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