Foto: Lino Brunetti

In Concert

Sons Of Kemet live a Milano, 10/5/2018

Quando si parla di “New Wave In Jazz” vengono ancora in mente figure come John Coltrane, Albert Ayler e Archie Shepp (tutti rappresentati nell’omonimo album della Impulse! del 1965), personalità che mutarono radicalmente le coordinate di genere ed innescarono un fermento artistico senza eguali e nemmeno lontanamente paragonabile a quanto sta accadendo oggi, sebbene quella che ha tutta l’aria di una nuova onda (o forse sarebbe meglio chiamarla “no-wave” per come ne sta disarticolando il linguaggio) pare effettivamente agitare il placido mondo della musica colta. I nomi più o meno popolari ascrivibili a questa corrente, cominciano ad essere tanti e dovendo trovare necessariamente un comune denominatore che di fatto non esiste, si potrebbe ipotizzare sia il desiderio di andare oltre la pura calligrafia jazz per tentare contaminazioni con generi e stili contemporanei ed estranei, quali potrebbero essere l’elettronica, la world music, l’hip hop o addirittura il noise.

Nulla di realmente rivoluzionario, visto che in gran parte ci avevano già pensato Miles Davis, l’avanguardia dei ’60 e i gruppi fusion degli anni ’70, ma comunque un segno che qualcosa si sta muovendo come non capitava da parecchio tempo. Di certo non si può parlare di una scena e nemmeno di un movimento, perchè il fenomeno non è localizzato in un’area precisa e pur nell’unità d’intenti, presenta diverse sfaccettature: c’è chi ne fa una questione di razza e di stile come il californiano Kamasi Washington; chi prova a reinventarsi il piano trio come gli australiani The Necks; chi mette in discussione il concetto di big band come gli svedesi Fire! Orchestra; chi scopre affinità tra l’Africa profonda e le porte di Tannhauser come gli inglesi The Heliocentrics o chi come i portoghesi Black Bombaim pensa che il sassofonista Peter Brotzmann sia la più grande rock’n’roll star di tutti i tempi.

Tra i tanti, il 34enne sassofonista britannico Shabaka Hutchings è probabilmente l’artista con il maggior numero di argomenti e una certa urgenza di esprimerli, visto che manda avanti almeno tre progetti contemporaneamente: i Sons Of Kemet sono quello più concreto o almeno il più prolifico, dato che ha già tre album all’attivo, l’ultimo dei quali Your Queen Is A Reptile di recente pubblicazione con il prestigioso marchio Impulse!. Formatisi nel 2011, i Sons Of Kemet sono oggi una delle più eccitanti realtà del jazz inglese e lo si è potuto appurare lo scorso 10 maggio nel corso di uno straordinario concerto tenutosi al Biko di Milano, un locale particolarmente attento alle nuove tendenze della musica black, riempito all’inverosimile da una gioventù alternativa che pare la stessa che affolla i concerti di indie rock o i festival di musica elettronica.

Al Biko si sta stretti, si suda perchè la frescura dei condizionatori svanisce non appena il locale si riempie e le luci sul palco si accendono e se non si portano i tacchi, sarà meglio stare nelle prime file perchè il palco è praticamente un gradino, ma ogni fastidio scompare non appena Shabaka Hutchings al sassofono tenore, Tom Skinner e Seb Rochford alle batterie e Theon Cross alla tuba iniziano uno show travolgente ed esplosivo in cui l’Africa, i Caraibi e la Londra Underground del grime non sono mai sembrate tanto prossime. “…Quando suoniamo dal vivo, sappiamo esattamente quale sarà l’epilogo: tutti nella totale isteria. Ma come ci arriviamo è un mistero…” dichiara Hutchings ed è effettivamente quanto successo al Biko, non appena il quartetto ha cominciato a battere tempi ossessivi ed ipnotici che mettono insieme danze tribali e nevrastenia metropolitana, ritmo primigenio e controtempi da hip hop, spingendo al movimento inconsulto la gran parte dei presenti.

La musica dei Sons Of Kemet è un febbrile magma sonoro che si muove senza direzione apparente e con le cadenze ripetitive di un rituale tra free jazz, avanguardia, funky, afro beat e cultura rave, fino ad un finale privo di amplificazione che seppur lontanamente evoca il lamento di uno spiritual. Alla fine del concerto la platea non è magari proprio in preda all’isteria, ma l’entusiasmo e l’eccitazione si respirano nell’aria: dal vivo i Sons Of Kemet sono un’autentico spettacolo!

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