foto: Cristina De Maria

In Concert

The Midwest Beat live a Marina Romea, 01/06/2015

La forza del power-pop, quando non si confina da solo nel mero revivalismo per inguaribili nostalgici, sta in genere nella capacità di raccontare non solo la gioventù di chi lo suona, bensì le verdi stagioni di un intero genere, la primavera del rock, l’attraversamento di una linea d’ombra fatta di melodie tintinnanti e messe in opera effervescenti. Nel caso dei Midwest Beat, formazione di Milwaukee, Wisconsin, legata all’Italia da un rapporto speciale (a pubblicare i loro album ci pensa la nostrana Wild Honey, e la recentissima High Up In The Alps è un omaggio alle nostre montagne), l’egemonia di rimandi agli anni ’50 e ’60, in un continuo evocare gli up-tempo di Byrds e Beach Boys frullandoli in piccoli vortici di tamburi squadrati, perenni armonie vocali, coretti surf e sbuffanti ritmiche country, diventa in pratica il delizioso film di un’adolescenza sognata e ancora a portata di mano, il ritornello irresistibile di un American graffiti di riscoperte gioiose da contrapporre alla repressione, all’avvitamento tragico e alla stipsi espressiva di tante proposte contemporanee ricche di fotogenici tormenti interiori e tuttavia avarissime di vere emozioni.

Dal vivo, i due chitarristi Matt Joyce e Kyle Denton (quest’ultimo talvolta impegnato in ricami d’armonica dal sapore dylaniano), il batterista Christopher Capelle e il vulcanico bassista Tim Schweiger (in passato collaboratore di Paul Collins e Tommy Stinson dei Replacements, come a dire, buon sangue non mente), accompagnati per l’occasione da un tastierista, non indugiano sulle atmosfere rootsy dell’ultimo Free Of Being (2014), dal quale comunque recuperano il country-rock alla Gene Clark di Connection To The Dream Lodge e il rock and roll in chiave honky-tonk di Vortex Hole e High Life (la seconda un tributo spudorato e irresistibile al suono di Bakersfield), ma scelgono anzi di puntare tutto su grinta, velocità, energia e harmonies, trovando così la misura perfetta di un beat esuberante, trascinante, spensierato. Il pop’n’roll chitarristico di J-man’s Blues, lo sfascio garagista di Bethany, il surfabilly di Belladonna e gli scatenati inni rockinrollisti di All Nite Long e Cryin’ Over You rendono omaggio allo spirito primigenio del r’n’r esaltandone vitalità e passione; lo fanno, però, senza ricorrere a una pura e semplice sequenza di ricordi, perché sebbene questa musica sia senz’altro costruita intorno allo spirito della civiltà americana di mezzo secolo fa, i Midwest Beat sono in grado di aggiornarne la fisionomia puntando tutto sul battito e sulla freschezza, fino al punto di improvvisare una demenziale versione di Billie Jean (Michael Jackson) per non perdere la concentrazione durante il cambio di una corda. Tra accenni fulminei di psichedelia, dediche a fidanzate e amici, birre, riff a manetta e cascate di allegria, gli oltre venti pezzi della serata passano in un soffio, tanto che quasi non ci si accorge, arrivati al gran finale della beatlesiana I Saw Her Standing There, di come sia passata un’ora abbondante.
Prodigi, magari ridotti nelle dimensioni ma pur sempre stupefacenti, della musica, e dei suoi figli più epidermici e spensierati: i Midwest Beat non cambieranno la vita di nessuno, ma nel dare fuoco alle polveri di una serata a base di ritmo e chitarre sono dei piccoli maestri.

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