Recensioni

Alessandro Di Liberto, Punti di vista

Alessandro Di Liberto
Punti di Vista
GleAM Records
***1/2

Il jazz sardo ha sempre avuto nel mio cuore un posto particolare. Al di là di figure ormai di respiro internazionale come Paolo Fresu o Antonello Salis, ho sempre colto quella unicità/peculiarità anche in musicisti come Enzo Favata, Paolo Carrus, Salvatore Maiore e Roberto Billy Sechi (che ci manca e sempre ci mancherà).

È quindi con notevole interesse che ho approcciato questo Punti di Vista, nuova e recente fatica del pianista dell’isola dei nuraghi Alessandro Di Liberto, appena prodotto dalla GleAM Records. Più che un disco è un road-album che coglie e celebra alcuni suggestivi luoghi di questa incantevole/incantata regione. Partecipano a quest’opera Laura J Marras al sax contralto, Sebastiano Dessanay al contrabbasso e Roberto Migoni alla batteria.

Il primo dei dieci brani di cui si compone l’album, ossia Vento di Mare, ha il pregio di trascinarci in una dimensione metafisica e cristallina dove il dialogo tra pianoforte e sax diviene della medesima sostanza equorea che il titolo suggerisce. È una dichiarazione d’amore e d’intenti che trova la sua naturale prosecuzione ne La Spiaggia di Riso, nella quale ancora la Marras si rivela il valore aggiunto e complementare delle trame del pianoforte.

È, invece, il synth pad del leader (supporto espressivo del suo piano) ad alimentare e donare profondità alla tavolozza di Verde e Azzurro, in cui il sound della sassofonista – sospeso tra un David Sanborn più levigato e un Martin Speake con più pathos – profonde sentimento e calore. Assai più inquieta è l’estetica di L’orologio del Tempo, con una ritmica più sostenuta e granitica che sostiene ancora synth, piano e sax nelle loro trame chiaroscurali. Vaporosa e poetica ballad è Pan di Zucchero, affrescata amabilmente da un lirico contrabbasso, al contrario di Sulla Torre, walking-time swingante che lascia carta bianca inventiva alla Marras e al leader.

E pure in Riviera di Corallo, dalle tinte brasiliane, Di Liberto stende un elegante tappeto sul quale plana creativamente la sassofonista. E analogo equilibrio dialogico-contrappuntistico troviamo sia nella vaporosa ternarietà di Tra le Vie del Borgo sia nei flessuosi orditi mediterraneo-latineggianti di L’Isola dei Giganti. Grave, solenne e meditata è la finale Tempio di Antas, che per caratura melodico-armonica e cristallino spessore del suono (un applauso a parte per il sempre ottimo missaggio alla grandissima Marti Jane Robertson e agli ingegneri Antonio Ferraro e Alessandro Corrias) non ha nulla da invidiare alle migliori produzioni eicheriane.

Un bell’album che è un soprattutto un delicato e sentito atto d’amore per la propria terra.

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