Foto: Lino Brunetti

In Concert

American Football live a Milano, 15/6/2017

Quando gli American Football pubblicarono il loro primo, omonimo e, fino a poco tempo fa, unico album, da band sostanzialmente da studio che erano, in pratica s’erano addirittura già sciolti. Il trio formato dal cantante e chitarrista Mike Kinsella, dal batterista e trombettista Steve Lamos e dal chitarrista Steve Holmes non venne però dimenticato in un battito da ciglia, visto che quei pochi che li avevano conosciuti all’epoca, era il 1998, fecero partire un passaparola che con gli anni è montato a tal punto da farla diventare una delle formazioni di maggior culto dell’underground americano. 

Quasi obbligata la reunion del 2014, concretizzatasi con un altro omonimo disco uscito l’anno scorso e con un tour finalmente arrivato anche in Italia, al Magnolia di Milano per la precisione. Possono finalmente raccogliere un po’ della gloria seminata quasi vent’anni fa gli American Football, oggi un quartetto con l’inserimento del bassista e tastierista Nate Kinsella, per quanto tutti, negli anni, non se ne siano certo stati con le mani in mano, avendo dato vita a formazioni e progetti quali Owen, The One Up Downstairs, The Geese, senza dimenticare la militanza di Kinsella in Cap’n’Jazz e Joan Of Arc. 

La prima sorpresa ce l’ho appena arrivo al Magnolia e no, non mi riferisco alle due band italiane in apertura, che mi perdo perché arrivo tardi, ma che da quello che so di loro con gli AF dovevano centrare come i cavoli a merenda. Parlo invece dell’affluenza di pubblico, davvero sostanziosa, con tantissimi giovani che sul finire degli anni ’90 se va bene andavano all’asilo, tanto è vero che, anziché sul palco che più spesso qui viene usato per concerti di questo tipo, è opportunamente su quello più grosso che gli strumenti sono posizionati. L’aura leggendaria formatasi attorno alla band non è insomma un qualcosa rimasto soltanto sulla carta, ma piuttosto evidentemente è traslata nella realtà. Di sicuro una cosa buona.

Del resto la musica degli American Football non è di quelle che incontri tutti i giorni, viste le suggestioni di cui vive. Nelle loro canzoni, soprattutto in quelle del primo, storico album, quello che possiamo considerare una sorta di rock autoriale prende forma attraverso spigolature e incastri di sapore jazz, attraverso un’emotività apparentemente trattenuta d’impianto emocore, con la voce, spesso quasi sussurrata, a cercare il suo posto tra gli intrecci chitarristici ancora memori della lezione post.

Caratteristiche queste evidentissime su disco, ma che dal vivo non del tutto arrivano a tradursi in emozione pura, nonostante un pubblico che, per tutta la durata dello show, ha sommerso la band con un affetto inusitato. Un pizzico di divario fra i pezzi nuovi e i vecchi, messi gli uni a confronto degli altri, in sede live s’è sentito, con i primi decisamente più lineari e normalizzati, laddove i secondi vivevano di un’alchimia forse oggi difficilmente replicabile. In realtà sarebbero pochissimi gli appunti da fare, musicalmente parlando, ad una band che si è dimostrata precisissima e puntuale in ogni passaggio, sia quelli più lirici e abbaglianti, che quelli più nervosi e/o riversati su se stessi, con giusto la voce di Kinsella cristallizzata in poco più di un mormorio, ancor più che su disco.

No, a lasciare un filo interdetti è forse proprio questa professionalità, offerta da una band amata soprattutto per aver saputo raccontare con calore emotivo i sentimenti e le derive adolescenziali, ma che qui è apparsa trattenuta, come in dovere di fare un qualcosa in cui non si sentiva del tutto a proprio agio. Forse sarebbe bastato sentire arrivare un po’ di calore e partecipazione emotiva in più, dal palco, per sentirsi appagati al 100%. Così è stata una bella serata di grande musica, quello senz’altro si, ma non l’epifania che in tanti aspettavamo da anni.

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