Foto © Shreya Dev Dube

In Concert

Arooj Aftab live a Milano, 15/4/2025

È probabile che, avendone ascoltato soltanto i dischi, un ascoltatore in procinto di andare a vedere un concerto di Arooj Aftab per la prima volta, sia portato a immaginare una performance solenne, seriosa, ai confini con qualcosa di mistico e spirituale, come soprattutto la sua musica lasciava intendere ai tempi dello stupendo Vulture Prince. Io, che in questa serata al Teatro della Triennale di Milano (conclusione della rassegna FOG) ero al mio quinto concerto visto della cantante d’origini pakistane, sapevo che non sarebbe stato proprio così.

In parte lo era, magari, quando ancora girava in trio, accompagnata unicamente da arpa e contrabbasso, ma le cose sono definitivamente cambiate con l’uscita dell’ultimo Night Reign, sicuramente meno aderente alle tradizioni del suo paese e più vicino a un’idea di jazz contaminato con esse. Rispetto a quando l’avevo vista l’ultima volta, sul finire dell’anno scorso, a Le Guess Who?, la sua band perde per strada il violinista che lì l’accompagnava, ma soprattutto il superlativo chitarrista Gyan Ryley, qui sostituito da un Perry Smith altrettanto virtuoso e tecnicamente stratosferico, anche se, devo dire, un po’ più prevedibile di quell’altro nelle sue improvvisazioni chitarristiche, in questo caso più ligie a un canone occidentale, cosa che comunque, in alcuni casi, ha aperto ulteriori nuove porte alla musica di Aftab. Confermato invece il contrabbassista Petros Klampanis, si può dire con lei da sempre, e, credo, il bravissimo batterista Engin Gunaydin (in realtà non ricordo se fosse lo stesso dell’altra volta).

Ma dicevamo dell’approccio di Arooj Aftab alla performance. Il primo pezzo ad essere eseguito è Suroor: l’afflato mistico del pezzo si scioglie in un arrangiamento leggermente più convenzionale di quello conosciuto, con gli strumentisti, in particolare Smith, a dar sfogo al virtuosismo, spostando il tutto dalle parti di una musica da jazz club sofisticato, tipo Blue Note. Arooj ci mette dentro la sua voce carezzevole come seta, che senz’altro contrasta col resto, perché lei, al contrario, rimane sempre molto equilibrata, non la spinge quasi mai verso superflui virtuosismi. La cosa si ripete con la bella Baghon Main, dove in effetti Smith fa faville aprendo a scenari da folk psichedelico, ma subito dopo inizia lo show nello show. Arooj, infatti, non è certo tipa da spettacolino educato e imbellettato: con un approccio dissacrante quasi da stand up comedian o da anti diva, parte con una reiterata dissacrazione del suo stesso repertorio, mettendo in campo una notevolissima autoironia, che non può che farcela sentire più vicina.

Si scusa se ci ha propinato dei pezzi fin troppo deprimenti e, inforcati degli occhiali scuri, promette che da lì in avanti inizierà la vera festa, tutta «urla e divertimento». Alla bisogna, un suo collaboratore passa tra il pubblico delle prime file a servire degli shot di whiskey, così da dare maggior corpo al pezzo dell’ultimo album dallo stesso titolo (lei non beve, dice, perché ci ha dato già troppo dentro la sera prima a Roma). Segue la magnetica Last Night, con un lavoro del batterista assolutamente stratosferico, e subito dopo una Na Gul presentata, con l’usuale faccia tosta, come «una canzone che parla dello scambio di sguardi d’intesa con uno sconosciuto a un party, per poi tornare a casa… col tuo partner». 

Insiste sul marcare una differenza tra i brani di Vulture Prince e quelli di Night Reign – tristissimi i primi, festaioli e ballabili i secondi – anche se le cose non è che siano proprio così. E mentre sfilano brani bellissimi come Raat Ki Rani, una Saans Lo priva però della stessa identica magia di quando c’era l’arpa e Aey Nehin (con assolo fischiato di Klapmanis da brividi), continua a parlare di facezie dissacranti come la sua messa in piega o il profilo del suo «naso romano». Quando parte Bolo Na, la presenta come un pezzo che risente dell’«heavy metal anarchist vibe» che aveva da quindicenne; «potreste anche far partire un mosh pit» esclama tra l’ilarità generale e il bello è che c’è pure del vero.

Il concerto finirebbe qui, ma tra gli applausi generali, i quattro ritornano. «Ci siamo accorti che abbiamo suonato meno di quanto avremmo dovuto» dice Arooj con la consueta ironia, «ecco perché siamo tornati. Faremo due brani: il primo è tratto dal primo album e credo non interessi a nessuno, mentre il secondo è la hit che state tutti spettando». E infatti, suonano la vecchia Aey Na Balam (stava sull’album pre Vulture Prince, Bird Under Water) e poi il pezzo che l’ha resa popolare, oltre 7 milioni di stream, la sempre meravigliosa Mohabbat, ottimamente resa dai suoi musicisti.

Personaggio imprevedibile e meno incasellabile di quello che si possa credere, Arooj Aftab tornerà in Italia anche quest’estate, il 9 luglio a Milano Marittima e l’11 a Torino, al neonato festival Monitor, nuova creatura di colui che era il direttore artistico del Todays, Gianluca Gozzi. Non perdetevela.

Questo mese

INDICE BUSCADERO

The Junior Bonner Playlist

Backstreets Of Buscadero

Facebook

ADMR Rock Web Radio

La Linea Mason & Dixon blog

Rock Party Show Radio