Se qualcuno era già pronto a ridimensionare i Big Special, sostenendo che il loro secondo disco ha mostrato una scrittura meno felice dell’esordio o che i loro live si presentano con una formazione talmente ridotta (solo voce e batteria e tutto il resto mandato in diffusione da basi registrate) da far storcere il muso, dovrebbe provare ad assistere a un loro concerto. Non sappiamo ovviamente quale sarà il prosieguo della carriera di Joe Hicklin e Callum Moloney, ma possiamo dire che il concerto tenuto al Santeria di Milano (il primo in Italia da intestatari della serata) ha mostrato una band il cui entusiasmo risulta talmente contagioso, da trasformare l’evento in una vera e propria festa, arrivando (quasi) a far dimenticare l’assenza di altri musicisti.
“Quasi”, in quanto, nonostante la notevole intensità del duo, risulta davvero difficile non pensare a come avrebbe suonato la band se ci fossero stati un vero basso, dei synth e una chitarra a dare vita al loro sound: un mix di rock, blues, synth-pop, funky, hip-hop, tenuto assieme con l’atteggiamento, molto contemporaneo, di chi mescola le fonti senza preoccuparsi della loro origine, consci di dover rendere conto e prestare fedeltà a null’altro se non alla propria poetica. Nella loro formula tutto si tiene, con l’unica regola d’ingaggio di alternare foga e intensità con aperture melodiche, capaci di conferire profondità a composizioni che si propongono di parlare alla nostra vita, raccontando della loro.
Sfilano così brani dalla furia hardcore punk come PROFESSIONALS. o dal tiro funk come GOD SAVE THE PONY., e – se l’assenza di ulteriori musicisti sul palco si fa sentire – è altrettanto vero che i due mettono talmente tanto cuore, energia e voglia, che prima ancora della musica, ad “arrivare” è la loro attitudine. Oltre che, ovviamente, il loro talento: Joe Hicklin ha una voce potentissima nell’emissione, che anche dal vivo conserva tutta una serie di sfumature soul, che vengono impreziosite da un accento fieramente britannico e working class; la sua logorrea si placa tra un pezzo e l’altro, lasciando al batterista Callum Moloney il compito di imbonire il pubblico, introducendo i brani senza far perdere allo show un grammo in dinamica. La sua batteria risuona talmente potente da incrementare l’intensità di ogni brano rispetto alla versione su disco, ma il suo contributo non si limita ai tamburi: Callum partecipa alle canzoni con cori e controcanti, creando un dialogo con il socio, ripetendo ogni parola – anche senza microfono e in sincrono con lui – a testimonianza di un’adesione e una condivisione assoluta su ogni singola sillaba e nota marchiata Big Special.
Nonostante la giovane età, i due gestiscono benissimo il palco, concedendosi anche qualche trucchetto ben orchestrato, come quando – muniti solo di un charleston e del microfono – scendono in mezzo al pubblico e continuano lo show, portandosi praticamente a spasso l’intera sala del Santeria. E poi ci sono le canzoni: alcune talmente riuscite da aver guadagnato fin dalla loro uscita lo status di nuovi classici. Se vi state chiedendo come suoni This Here Ain’t Water dal vivo, sappiate che è esattamente come la immaginate: una sorta di catarsi che ti svuota i polmoni e ti fa stare bene, urlandoci dentro; Shithouse è già un inno, mentre il singalong finale di DiG!, cantato da tutto il pubblico, è da brivido.
E forse a conquistare davvero è la scoperta che ciò che i Big Special propongono, a volte risulta essere davvero quello di cui si ha bisogno: una serata di energia e condivisione, di divertimento politicamente consapevole, anche polemico, ma mai violento; perché ogni loro urlo non è mai aggressivo, ma catartico; ogni singolo colpo di batteria è un mattone su cui poter cominciare a costruire. E in questo tempo di macerie in cui non sappiamo più nemmeno chi siamo o chi sono i “nostri”, verrebbe voglia di abbracciarli, questi due ragazzi di Birmingham.