Foto © Eddie Whelan

In Concert

Black Country, New Road live a Milano, 25/10/2025

Non sono poi tantissime le band delle quali posso dire di averne seguito le mosse, dal vivo e su disco, fin da prima che arrivassero all’esordio. È però il caso dei Black Country, New Road, dei quali ricordo perfettamente un concerto in apertura dei Beach Fossils (era il 2017!), quando ancora avevano il primissimo cantante (Connor Browne) e si chiamavano Nervous Conditions. Fu un concerto, quello, in cui la band di spalla si mangiò quella principale, altra cosa in fin dei conti non del tutto usuale. Le accuse di molestie rivolte nei confronti di Browne costrinsero i membri rimanenti a cambiare nome, cancellando l’uscita di un disco di fatto già completato (rimasto inedito). I neonati Black Country, New Road, quindi, finirono per configurarsi attorno al nuovo cantante Isaac Wood, il quale, però, all’indomani dell’uscita del secondo album, il bellissimo Ants from Up There (2022), per motivi personali lasciò la band, sottoponendola a un secondo terremoto. Cambiare nuovamente nome non parve però più un’opzione praticabile: si diede vita a un nuovo repertorio e alle voci si dedicarono le tre ragazze della formazione, Tyler Hyde, Georgia Ellery e May Kershaw.

Arriviamo così all’oggi. I Black Country, New Road sono in tour a portare le canzoni di quello che di fatto si può considerare il «vero esordio» del nuovo corso, dato che Live at Bush Hall aveva sì canzoni tutte inedite, ma era un album registrato dal vivo, utile a segnare il periodo di transizione. Forever Howlong, invece, certifica pienamente ciò che la band è oggi, in pratica un collettivo di talentuosi musicisti, guidato da tre diverse autrici, ciascuna con le proprie peculiarità. Il repertorio d’era Wood non viene più neppure tenuto in considerazione – per dire, al banchetto «quei dischi» non ci sono – e in effetti quello che fanno oggi è completamente diverso da quello che facevano anche solo tre anni fa.

L’ultima volta, li avevo visti al festival di Dublino, in Irlanda, In the Meadows, un concerto nel quale mi erano parsi potenti e super affiatati, non più seriosi e concentrati come quando con loro c’era Wood, ma neppure timidi e impacciati come quando erano stati costretti a mutare involontariamente. Oggi sono una band amatissima, bisogna dirlo soprattutto da un pubblico di giovanissimi (evviva!!), il quale non solo riempie in ogni dove gli spazi dei Magazzini Generali (concerto sold out), ma fin dal pomeriggio è in attesa fuori dai cancelli per poter conquistare le prime file, cosa che m’induce un moto di tenerezza, ricordandomi quando lo facevo anch’io, magari quando andavo a vedere i miei primi di concerti di Springsteen.

In apertura di serata ci sono i mancuniani Westside Cowboy e per chi scrive è una bellissima e inattesa sorpresa. Li avevo visti quest’estate all’End Of The Road e già mi avevano fatto una grandissima impressione. Qui bissano nuovamente con la loro freschissima miscela di indie rock distorto, ma melodico e corale, con dentro ampie porzioni di folk e persino Americana, cristallizzato in canzoni scritte benissimo, suonate con quell’energia e quell’entusiasmo contagioso che solo le giovani band hanno così forte. Hanno alle spalle un EP e uno nuovo è in uscita a gennaio. Basta la reazione super entusiasta del pubblico – che, come saprete, di solito non è che riservi molta attenzione ai gruppi spalla – per far capire che è una band destinata a grandi cose. Ne risentiremo parlare, come già dicevo nel report del festival.

Il sestetto di Cambridge sale sul palco mentre le casse sparano a tutto volume Downtown di Petula Clark, ma non potrebbe esserci contrasto maggiore con la The Big Spin delicata con cui iniziano il concerto. In verità, a parte qualche momento più concitato qui e là, questa sarà una caratteristica di tutto lo show. Come accennavo prima, dal vivo ancor di più che su disco, i Black Country, New Road di oggi paiono il frutto di cantautrici accompagnate da una band, sia pur sicuramente estrosa. 

Ognuna di loro ha infatti caratteristiche peculiari: Tyler Hyde, in fondo da molti ritenuta la front woman, non foss’altro perché on stage suona al centro, è quella capace di azzeccare con più facilità il ritornello pop (sua era quella Up Song che trionfava nel precedente tour, stasera neppure eseguita), ma è anche quella le cui canzoni tendono con maggior frequenza a farsi barocche e prog. Georgia Ellery è capace anch’essa di grandi pezzi pop, ma la cosa che a mio parere risalta di più è la sua vicinanza col cantautorato californiano seventies. Infine, May Kershaw ha un approccio in bilico tra folk e classicismo cameristico, molto raffinato e con decise punte d’intensità. Sono questi tre differenti approcci, resi vibranti da un suono strutturato e complesso, fatto con chitarre e cordofoni vari, basso, violino, sax, flauti, tastiere e con il surplus di un batterista di vaglia quale Charlie Wayne, a rendere originale e affascinante (sia pur tutt’ora divisivo) il sound della band.

La quale, in questo tour, si concentra soprattutto sui pezzi del nuovo album, di fatto suonato per intero (un disco che in sede live guadagna ulteriormente in grazia e intensità), lasciando alle sole Turbines/Pigs e Dancers il compito di rispolverare il passato (comunque più recente). L’entusiasmo del pubblico è tale che, tra un pezzo e l’altro, i musicisti devono aspettare che il boato si cheti prima di poter proseguire. Una cosa che ha quasi del sorprendente, perché non è che stiamo parlando della più classica formazione pop, ma di una band che propone pezzi arzigogolati e spesso per nulla immediati. Che qualcosa stia davvero cambiando e si stia ritornando a una sorta di «rinascimento indie rock»? Alcuni segnali sembrerebbero indicarlo. 

Chicca della performance – almeno per noi anzianotti – l’ottima cover di The Ballad of El Goodo dei Big Star, che Tyler presenta come «una grandissima band, spero in futuro di essere in grado di scrivere una canzone come questa». La versione è quasi commuovente e fa dimenticare subito il fatto che, quando la cantante chiede ai presenti in quanti conoscano i Big Star, le mani che si alzano sono invero pochette (a ulteriore dimostrazione della giovane età del pubblico). Molti dei presenti, però, proprio grazie ai Black Country, New Road se li andranno ad ascoltare e, pur senza considerare il bellissimo concerto che hanno fatto, basterebbe questo a promuoverli col massimo dei voti.

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