Tutte le foto © Helga Franzetti

In Concert

Blind Boys Of Alabama live ad Anversa (BE), 1/5/2025

Che fosse una delle rare possibilità di vedere dal vivo i Blind Boys Of Alabama, era fin troppo chiaro per lasciarsela sfuggire. Un gruppo, questo, che si forma nel 1939, originariamente col nome di Happy Land Jubilee Singers, con Clarence Fountain, tra le sue fila, ancora ragazzino, tanto che ancora cantava nel coro della scuola, dimostrandosi già sorprendente nella sua portentosa vocalità.

Sebbene la formazione attuale non contempli alcuno dei membri originali (anche perché anagraficamente sarebbe stato impossibile), si viaggia sulle stesse vibrazioni, e vedere un concerto dei Blind Boys Of Alabama è sempre un’esperienza emozionante. Ricky McKinnie, Reverend Julius Love e Sterling Glass, in balìa di un’incontrollabile passione mistica, lasciano alle loro voci il compito d’essere espressione della gioia, del piacere di stare in mezzo alla gente a proclamare quanto grande sia l’amore per la musica e non solo la fede per Nostro Signore.

È stato come se la messa della domenica venisse celebrata al De Roma, quella sera. Anversa immersa in un sound tra black music e tradizione, gospel contemporaneo e contaminazioni, su un groove che afferra il cuore dei fedeli, che muove le sonorità della bellezza musicale. Un pubblico di teste canute, per la maggior parte, ma l’età non ha condizionato in nessun modo la ricezione, visto che tutti hanno partecipato a una grande festa. I sorrisi e le espressioni disegnate sui visi dei presenti non potevano che esser la fotografia migliore dell’evento. 

La scaletta dei Blind Boys affonda in un repertorio immenso, dall’ultimo disco, Echoes Of The South, edito lo scorso anno per la Single Lock Records (con la copertina disegnata in braille e registrato interamente in Alabama), fino ai diversi omaggi alle produzioni del passato e, storicamente, agli standard gospel più famosi.

Do Lord in apertura, Send It On Down, spiritual da brividi come God Is Real o Amazing Grace e classici del soul come la consumata People Get Ready degli Impressions, passando dal «proposito di darsi da fare fino alla fine» con Work Untill My Days Are Done (di cui ricordo la bellissima versione con Allen Toussaint), ci portano per per mano sopra al palco, sorretti dall’incantevole chitarra di Joey Williams (nell’ultimo album con i North Mississippi Allstars) e da una base ritmica sanguigna.

Blind Boys che illuminano il palco equilibrando voci dai timbri celestiali, cambiando toni dalla riflessiva e languida variante della loro Friendship, per congelare poi caldi sentimenti su di una commovente Heaven Help Us All, rivolta a qualcuno che sta lassù, o trasformare il classico di Norman Greenbaum, Spirit In The Sky, in un funky workout e regalare la bellissima versione di Way Down In The Hole di Tom Waits.

L’ultimo encore è con la bellissima Higher Ground di Stevie Wonder, e poi tutti a disposizione del loro pubbico, rispettosamente in fila per scattare qualche foto e per scambiare quattro chiacchere con la leggenda.

Uno spettacolo da incorniciare e una frizzante atmosfera che satura un De Roma rilassato, amicale, tra birre artigianali e tavoli misti, una formazione che tiene alto il tiro per quasi un’ora e mezza e che si prende cura dei suoi tre gioielli con amorevole attenzione. Nessuna pretesa di pareggiare epoche migliori, solo un sincero omaggio alla bellezza di un’arte pluridecennale, agli «echi sudisti» e alla musica che cambia, evolve, si modella, ma rimane sempre il centro gravitazionale delle nostre innumerevoli passioni.

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