Ormai una trentina di anni fa, quando ho raggiunto l’età per scegliere – mai fatta scelta migliore – di cominciare a seguire le gesta di questo rocker del New Jersey, lui aveva quarant’anni. All’incirca gli anni che ho io oggi. E ricordo che, dall’ingenuità della mia adolescenza, lo sentivo già anziano. E più il mio cuore si avvicinava a quelle storie, tanto simili alla mia, più temevo che la sua carriera fosse già ai titoli di coda. “Un altro tour rock – mi dicevo – poi possiamo anche accontentarci di vederlo acustico per sempre”. Senza che me ne accorgessi, sono passati 30 anni, 7 tour rock (8 se consideriamo quello di High Hopes, non pervenuto in Europa), 2 tour acustici, un tour folk con la Seeger Sessions Band e 236 date consecutive di spettacolo teatrale a Broadway. Il tutto suddiviso per regolari uscite discografiche e ripetuti passaggi nel nostro Paese. Abbiamo visto finire il decennio sanguinoso dello scioglimento di una E Street Band al massimo del suo fulgore, contraddistinto prima dal tour mondiale troppo poco considerato con “l’altra band” e poi dal capolavoro acustico di Tom Joad, e siamo passati attraverso la strepitosa reunion. Poi abbiamo respirato la polvere delle torri gemelle attraverso The Rising e siamo tornati dalle parti intimiste della solitudine di Devils & Dust. L’omaggio alla tradizione con la Seeger Sessions, poi di nuovo il rock – l’ultimo con la E Street al completo – con Magic. Di lì è stato un susseguirsi quasi compulsivo di album e tour rock, con il picco creativo, a mio giudizio, di Wrecking Ball. Infine abbiamo avuto anche il tour revival-greatest hits – a cui avrei rinunciato a beneficio di progetti nuovi – con la promozione del cofanetto di The River e una splendida biografia. In mezzo, abbiamo sofferto con lui le scomparse di Danny e Clarence, due pilastri della E Street Band, fratelli suoi diventati col tempo anche amici nostri. E infine, è di qualche giorno fa l’annuncio di un imminente quanto attesissimo nuovo ritorno. Tutto questo senza considerare che aveva avuto una ventina d’anni di carriera – quelli dei noti capolavori assoluti – anche prima!
E ora, a tradimento, l’ex ragazzo del New Jersey compie 70 anni. Non c’è niente che io possa scrivere su Bruce Springsteen che non sia già stato scritto. Inutile dilungarsi sul fatto sia a tutti gli effetti un’icona vivente non solo del rock ma anche della letteratura americana, sul fatto che abbia esplorato con perizia altri generi musicali pur sempre ancorati alle sue radici, sul fatto che si sia guadagnato sul campo in 50 anni di palcoscenici di ogni tipo il titolo di più grande performer live di tutti i tempi, facendo impallidire anche James Brown al suo cospetto e fungendo da esempio, mai eguagliato da nessuno, per qualsiasi brufoloso quindicenne si avvicini a una chitarra. Inutile elencare gli innumerevoli riferimenti musicali, letterari o cinematografici a cui nel tempo ha attinto, spesso valorizzandoli e facendoli scoprire anche ai milioni di seguaci che si è conquistato nel mondo, ammaliando più di tre generazioni di fan.
Quello che posso dire invece è che se è arrivato a questo traguardo, con questa presenza artistica ancora così forte e ispirata, senza l’ausilio di alcuna sostanza psicotropa, è grazie alla sua dote più grande, quella di essere una persona vera, radicata nei valori di povero ventenne di provincia con qualche sogno nella testa e tante pezze al culo. Ed è a quel ventenne là che ancora oggi, pur avendo superato i 40, io devo gratitudine per avermi conservato dentro l’adolescente che cominciava ad ascoltarlo in camera sua, tre decenni fa, scoprendo finalmente di non essere solo. Per averlo lì, chiuso in una sorta di tabernacolo interno, e per non riuscire a trattenerlo quando se ne esce fuori ad ogni annuncio di nuovo album o nuovo tour. Io sono ancora quell’adolescente là, e voi siete ancora loro, quegli adolescenti là. Per chi ne è fuori si tratta certo di un difetto, un chiaro esempio di immaturità. Me lo sono sentito dire spesso:
“Tu vivi per quelle cose lì, ma la vita è un’altra”.
Oh, lo sappiamo forse meglio di voi che la vita è un’altra… Ma per noi, per chi ama Bruce e il suo mondo, lui è, oltre al resto, un elisir di eterna adolescenza. Un’adolescenza buona, intesa come passione, voglia di lottare, di provarci ancora, di resistere. E pazienza se per questo resteremo immaturi fino alla tomba. Diceva il maestrone Francesco Guccini che ci vuol costanza ad invecchiare senza maturità.
Bruce non si è mai dimenticato di quel ventenne, e grazie a questo lo abbiamo ancora qui, vivo e attivo fra noi, a raccontarci, come nella perla Western Stars, anche delle sconfitte e della paura del buio. La paura di ciò che fatalmente è dietro l’angolo.
A parlarci a cuore aperto del suo, e del nostro, Moonlight Motel.
Auguri Bruce, altri 70 di questi anni. Ed è un augurio interessato.