Foto © Rodolfo Sassano Folla delle grandi occasioni per il ritorno a Milano dei Counting Crows, artefici di un concerto che in diversi momenti ha toccato l’intensità e la bellezza di quello — straordinario — del novembre 2014 nello stesso Alcatraz. Una band che è resistita al tempo e, dopo un periodo di appannamento, è tornata ad infiammare gli animi con il dignitoso Butter Miracle: The Complete Sweets! (da cui sono stati estratti ben cinque pezzi) e soprattutto con un set in grado di fugare ogni dubbio circa la loro importanza nel panorama rock degli ultimi trent’anni.
Preceduti dal simpatico siparietto di James Maddock in coppia con Dave Immerglück, due che se la intendono a meraviglia nel coniugare storie di strada e corde acustiche, i Counting Crows hanno dato fuoco alle polveri bruciando qualsiasi perplessità sulla tenuta del cantante Adam Duritz (a Parigi, per motivi a me ignoti, aveva dovuto dare forfait) e presentando dal nuovo album il singolo Spaceman In Tulsa, per poi mandare subito in visibilio i duemila e rotti presenti con Hard Candy e Mr. Jones, due titoli che una band convenzionale avrebbe messo alla fine dello show. Ma Duritz è un animale libero nell’agitare le note e i versi di un rock melodico che immancabilmente ti fa cantare, ti fa battere velocemente il cuore e ti lascia emotivamente stordito per la gioia trasmessa, e nello stesso momento ti fa credere a come tutto sia ancora pieno di speranza e sogni come quando ascoltasti per la prima volta August And Everything After (1993), l’album con cui il gruppo si fece conoscere al mondo intero.
Adam Duritz è un teatrante nato, interpreta la canzone con l’autenticità del poeta, ci mette il corpo e l’anima, sale sulle casse, gesticola, ti porta nel suo mondo per dirti che se c’è ancora un modo di essere felice è quello di partecipare alla sua festa, la quale è anche la nostra perché quando arrivano Omaha e Miami solo un sordo rimarrebbe impassibile, chiuso alle eccitazioni di un rock tra ballata vanmorrisoniana e caldo stufato The Band, sciabolate elettriche (sono tre le chitarre in azione nella maggior parte dei brani) e corale pop da sing-along.
In sette sul palco, non tralasciano nulla: quando Charlie Gillingham dalle tastiere passa alla fisarmonica, e Dave Immerglück imbraccia il mandolino, sale l’elegia della vecchia America; quando David Bryson, Immy e Dan Vickrey sono schierati come una guitar army, sostenuti dalla dinamica sezione ritmica di Jim Bogios e Willard Powers, rimbomba contagioso in Boxcars uno sferzante glam di taglio inglese; quando Duritz si perde nel flusso di coscienza di ‘Round Here (intrecciata a Raining In Baltimore) e nel delirio estatico di Rain King, allora appare chiaro quanto i Counting Crows siano gli splendidi sopravvissuti di un rock dell’età dell’oro che al passato ha unito la modernità, le ansie e i desideri del presente. Un rock che è narrativo ma diventa scoppiettante quando il gioco si fa duro, folkie e alternativo, essenziale e romantico, portato in scena da un cantante che ha fatto della propria bohéme un elemento di spettacolo, uno showman scapigliato e arruffato, un esistenzialista della ballata che confessa essere With Love From A to Z — la storia della sua vita, dice — l’unica canzone del nuovo album da lui non scritta nella fattoria di un suo amico, in Inghilterra.
Grandiosi, corali, lucidi e imperfetti ma sempre sintonizzati su canzoni che non si possono non riconoscere e cantare, un songbook eccelso dove ai titoli già citati vanno aggiunte, nel concerto milanese, le dolenti, malinconiche Colorblind e A Long December, la sontuosa versione roots di Friend of the Devil dei Grateful Dead, la rilettura di Blues Run the Game (Jackson C. Frank) e la personale, ormai classica Big Yellow Taxi (Joni Mitchell). Ma per chi scrive, l’highlight dell’esibizione rimane Miami, titolo di quel favoloso e sottostimato album che è Hard Candy (anche If I Could Give All My Love (Richard Manuel is Dead) è arrivata da lì), con il verso finale — The bus is running / it’s time to leave / The summer’s gone / and so are we / So come on baby / let’s go shut it down in New Orleans — cantato a squarciagola da tutto l’Alcatraz.
Saliti sul palco perfettamente in orario (alle 21:15), generosi ed empatici verso un pubblico trasversale (per età e genere) che li ha festeggiati in tutti i modi, i Counting Crows hanno capito il calore fluttuante nell’aria e nel tornare in scena per l’encore non si sono fatti attendere. Under the Aurora ha omaggiato la recente produzione, prima che Hanginaround mettesse a ballare tutta la platea e la meravigliosa, delicata e dolce Holiday in Spain fosse una nemmeno tanto velata promessa di ritorno futuro. Splendida serata.