
Il concerto di Elliott Murphy è stato il culmine della Born To Cruise di cui ho già scritto a parte. In realtà, il culmine avrebbe dovuto essere l’intervista, visto che Elliott ha condiviso la crociera con noi, l’ho incontrato più volte, abbiamo parlato del Buscadero e della sua partecipazione al Buscadero Day del 2014 (come sempre organizzato da Andrea Parodi, suo promoter in molte altre occasioni), ma quando gliene parlavo, mi diceva sempre, «Domani la facciamo». Poi, all’ultimo momento, la smentita dell’organizzatore Alberto Lanfranchi: Elliott ha problemi alla voce e non vuole rovinare il suo concerto, così ci lasciamo con la promessa di farla on line, successivamente. Peccato perché sarebbe stato davvero un piacere chiacchierare con Elliott, il più europeo dei musicisti made in USA, un personaggio che ha vissuto sulla sua pelle l’intera storia del rock non solo da appassionato (cominciò come giornalista) ma da vero e proprio protagonista.
Essendo nato a New York e avendo collaborato e suonato con decine di figure di primo piano, Murphy è arrivato a un passo dall’essere una rockstar di fama mondiale. È stata però l’Europa (vive da anni a Parigi) ad adottarlo e a farlo diventare una figura di culto, un rock troubadour dall’appassionato stuolo di fan. Elliott Murphy si presenta con il francese Olivier Durand (chitarra acustica e cori) e l’australiana Melissa Cox (violino, cori), mentre Alan Fatras si occupa del suo set essenziale di percussioni e rullante a spazzola. Il concerto, com’è tradizione per Elliott, è essenzialmente elettroacustico, con suoni soffici che mescolano i suoi riferimenti dylaniani (armonica sempre presente) al folk del Greenwich Village.
Si comincia con la delicata Change Will Come, seguita da Drive All Night (aperta da un raffinato interplay acustico con Olivier), e il viaggio continua con Granny Takes A Trip e il controcanto di Melissa (la canzone arriva dall’ultimo Infinity). Not Enough Time (tratta da Coming Home Again del 2006) è una delle sue tipiche ballad introspettive: è evidente che Elliott ha qualche problema di voce, ma sopperisce abbassando i toni e mettendoci la sua infinita esperienza. Il pubblico si scalda con Green River, ritmata dalle due acustiche (Durand si esibisce in un lungo assolo al bottleneck), un brano decisamente rock impreziosito poi dal fiddle di Melissa.
Ormai Elliott ha preso la scena, davanti a più di mille spettatori che scandiscono il brano con il battimano nell’altrettanto coinvolgente Makin’ It Real, sempredall’ultimo disco. Segue uno dei momenti topici dello spettacolo, grazie alla bella versione di The Land Of Nod, springsteeniana come non mai. Tutta la band segue Elliott alla grande. La sentimentale, intimista Sunlight Keeps Falling è cantata a due voci con la violinista, poi Murphy, da vecchia volpe del palcoscenico, sa come risvegliare il pubblico con i ritmi di Deco Dance, in cui assume risalto il fiddle della Cox. Sonny viene dedicata a Lou Reed e Murphy, ricorda alcuni episodi di quando, nel 1972, ancora impegnato a mettere in piedi l’album d’esordio, venne contattato per scrivere le note di Live 1969, il disco dal vivo dei Velvet Underground uscito poi nel 1974.
Semplicemente stupenda è la rilassata Fix Me A Coffee, con la melodia disegnata dal violino e cantata a tre voci. Poi Elliott si rivolge al pubblico e chiede, «Quanti baby-boomer ci sono qui?». Alzo la mano e scopro che siamo solo io e lui. «Noi eravamo fortunati, perché avevamo Elvis Presley e i Beatles. Ora le nuove generazioni si indicano con una lettera, x, z, ma loro non sanno neanche di appartenere a qualcosa», dice Murphy prima di attaccare Baby Boomers gridando Wake up! e interpretandola nel segno di John Lennon. Per scuotere il pubblico viene inaugurato «l’atteso tambourine time» e In My Chair vede i tre accompagnatori lanciarsi in divertenti e sfrenati assoli al tamburello sotto lo sguardo divertito di Elliott. You Never Know What You’re In For è tesa come le corde del violin di Cox e il concerto, infine, si chiude con On Elvis Presley Birthday e A Touch Of Kindness, grande ballata.
Murphy invita il pubblico sotto il palco per una serie di encore che tutti balliamo con grande gioia, felici di aver vissuto un entusiasmante momento rock. Alla fine, Elliott si reca al banchetto, per firmare autografi, e mi lascia la mail cui far pervenire le domande per l’intervista, scusandosi per non averla fatta in diretta. Comunque, un gran signore.