
A un anno e mezzo dall’ultima comparsa meneghina, Pablo van de Poel e compagni si affidano a una Barley Arts sempre più proiettata verso i giovani talenti. In realtà, i tre ragazzi di Galeen hanno già un discreto seguito in Europa, perlomeno in quei contesti che coltivano interessi fuori dai giri meramente commerciali, ma rispetto a quel novembre del 2023, i DeWolff portano sul palco un suono rinnovato, florido e vitale, seppur costantemente in linea con una passione profonda e riverente verso tutto ciò che sappia di anni ’60 e ‘70.
L’ultimo Muscle Shoals non fa che amplificarne i contenuti: espansioni fantasiose, universi visionari, e l’estetica di un mondo musicale che ha elargito sogni a generazioni intere. Sta di fatto che la sera del 2 marzo, in una Santeria Toscana 31 ben gremita, tra pantaloni a zampa, capelli biondo scuro che accarezzano le spalle, e un set «apparecchiato» con microfoni a corona, amplificatori valvolari e pedali fuzz, i DeWolff conquistano la scena poco dopo le 21.00, quando il suono inconfondibile di Robin Piso — il terzo «fratello» all’Hammond, come viene più volte nominato — decolla sopra il funk contaminato di Night Train, ormai rito di apertura. Ma qualcosa, nei volumi, dà segnali fuori assetto e le voci si nascondono dietro agli strumenti: un paio di pezzi per riuscire a calibrare i suoni e dopo i riff bollenti di Natural Woman, dal più recente dei loro lavori, le cavalcate ai valichi delle frontiere Southern rock.
Tre ragazzi che, dall’Olanda con furore, guidano la scena con eccellenza veterana ma anche con l’estro e con la grinta di una giovane generazione rispetto alla quale nutrire ottimismo. Pablo van de Poel lavora le sue Gibson — Firebird o Les Paul all’occorrenza — galoppando smaliziato tra i rimbalzi di organo e chitarra, mentre la sua band ci mostra una maturità che, dall’esibizione milanese di nemmeno due anni fa, pare abbia lasciato indietro frivoli orpelli e dirottato le attenzioni sulla costruzione di una nuova identità, specchio dello spirito di un’altra epoca che rifiuta di inchinarsi al ritmo frenetico del mondo della musica moderna. Una Treasure City Moonchild travolgente si aggancia alle seduzioni senza tempo di Out On The Town, una lenta e maliziosa Will O’The Wisp alle vibrazioni mescolate di Live Like You, che frantumano blues rock e soul in un’unica mistura.
La scaletta viaggia su cavalli di battaglia e sentieri attraversati in tempi più recenti. L’alchimia cresce brano dopo brano, in lunghe suite e vorticosi saliscendi, con l’organo di Robin Piso che sospinge il suono prendendo il volo lungo dimensioni oniriche, mentre Ophelia si trasforma in una interminabile avventura gotica. Il fratellino Luka van de Poel tiene alti i battiti e domina la ritmica, aiutando con le voci il primogenito e decorando il tutto con i cori le escursioni di un grandioso frontman, oramai padrone indomito del palco. Fra devote citazioni (Keep A-Knockin’ di Little Richard) e improvvisazioni diluite fino all’immancabile Rosita, multistrato di sapori in venti minuti di delirio sudista.
Una band che di Geleen ha fatto il sud d’Europa, alla faccia di coordinate musicali e 9 in geografia. Nelle pianure limburghesi si sta bene quanto in Alabama…