
Ospitiamo uno scritto, fatto apposta per noi, di Fabrizio Poggi, musicista e Cavaliere al Merito della Repubblica Italiana per meriti artistici, in ricordo del grande Garth Hudson di The Band, che ci ha lasciato qualche giorno fa all’età di 87 anni.
«Fabrizio Poggi è un sognatore. Un grande sognatore. E ama la musica. E Mercy è la prova del suo amore profondo nei riguardi della musica. Un lavoro di grande sensibilità in cui cuore e amore vanno di pari passo e a cui hanno voluto aderire musicisti di caratura internazionale come Garth Hudson (The Band). Gli accordi con le tastiere di Garth Hudson ci portano in chiesa alla domenica».
Così Paolo Caru’ iniziava la recensione del mio disco Mercy. Paolo aveva ragione, sono un sognatore, un sognatore professionista. Quando vidi il film The Last Waltz mi innamorai perdutamente del blues e dell’armonica a bocca suonata divinamente da Paul Butterfield.
In quel film c’era un gruppo di musicisti canadesi che ha fatto la storia della musica americana: The Band. Ripensandoci oggi, se mi avessero detto che un giorno avrei suonato e registrato con uno di loro e conosciuto gli altri, beh non ci avrei creduto. L’incontro con Garth Hudson è nato quasi “per scherzo”. Stavo registrando il disco Mercy, avevo bisogno di un tastierista ma alcuni musicisti si facevano desiderare. Un giorno dissi ad Angelina. «Forse farei meno fatica se chiamassi Garth Hudson». Nominai lui perché era, ed è tutt’ora, un mito per me. Anzi, è un mito per tutta l’America, un gradino sotto Hendrix.
Angelina, senza dirmi nulla, contattò Maud, la moglie e manager di Garth. Le spiegò tutto, e solo quando ricevette una risposta affermativa, mi disse: «Garth Hudson suonerà con te!».
C’era una sola clausola: Garth doveva suonare in almeno tre pezzi del disco, perché doveva essere chiaro che noi non volessimo «Garth per il suo nome, ma per il suo modo di suonare». Noi, ovviamente, fummo più che felici di accontentarlo, e ci mettemmo d’accordo per registrare qualche mese dopo a Woodstock, vicino a casa sua.
Arrivammo a Woodstock la sera prima. Non chiusi occhio al pensiero di registrare con uno dei miei eroi. Il mattino seguente ci recammo all’appuntamento: passarono le ore ma di Garth e Maud nessuna traccia. All’epoca non c’erano i cellulari quindi all’agitazione per la registrazione si aggiunse la paura di non aver capito bene il luogo dell’incontro. Finché dopo due ore lo vedemmo arrivare con sua moglie a bordo di un macchinone nero, inconfondibile con la sua barba bianca. Quando il fonico del Leopard Studio, Jimmy Goodman, ci vide arrivare, diede un’occhiata all’orologio e ci disse: «Dovete essere importanti, due ore di ritardo sono anche poche per Garth». Iniziammo a registrare e chiesi a Garth quello che avrei voluto. Lui mi ascoltò attentamente, si mise al piano e improvvisò il Novecento Americano in cinquanta secondi, una cosa incredibile. Fece due o tre incisioni, poi andò in cabina di regia a sentirle. Dentro c’era solo Angelina, in quel momento, e lui le si avvicinò un po’ titubante. Le chiese «Is Fabrizio happy? È contento Fabrizio?».
Io non ero contento, ero alle stelle!
Quella sera avevamo i biglietti per andare a vedere il concerto a casa di Levon Helm alle 21.00 ed erano già quasi le 20.30, così Angelina disse a Garth che purtroppo dovevamo andare. Garth allora chiamò Levon Helm per avvertirlo di tardare un po’ il concerto «perché stanno arrivando i miei amici italiani». E così quella sera il concerto di Levon Helm fu ritardato per aspettare noi, gli amici di Garth Hudson. Eravamo diventati parte della famiglia di Garth e Maud. Tanto che quando registrai il disco successivo a Mercy, Spirit & Freedom, e Maud lo venne a sapere, quasi mi sgridò per non aver chiamato Garth a registrare.
L’amicizia è continuata fino a qualche giorno fa quando Garth ci ha lasciato. Tramite un amico comune, gli abbiamo fatto ascoltare i miei nuovi dischi, ci scambiavamo lettere e fotografie. Ogni volta Garth ci mandava messaggi bellissimi che resteranno per sempre nel nostro cuore.