Interviste

Intervista ai Blonde Redhead: scoprirsi stranieri (e liberi) ovunque.

Blonde Redhead: stranieri ovunque, tranne che on stage. In un’intervista concessa a Buscadero, Amedeo Pace racconta della band, dell’evoluzione del processo compositivo, dell’ultimo album Sit Down For Dinner e di come il trio italo-nipponico di stanza a New York abbia ripensato il lavoro del 2023, “rilanciando” nel segno della bellezza. Una chiacchierata per scorgere il profilo, l’ombra dell’ospite, The Shadow of The Guest, il nuovo Ep in uscita il 27 giugno via Section 1. Presto saranno in tour in Italia: il 30 giugno a Milano e l’1 luglio a Bologna, due date da non perdere!

Di voi ho questo flash: credo fossero i primi anni Duemila, quando mi imbattei, per puro caso, in un vostro live trasmesso da un’emittente televisiva. Per me quello era stato un cortocircuito, perché mi imbattei per la prima volta nel vostro progetto. Avevate veramente (e avete tuttora) un’attitudine incredibile. Tornando al presente, quella dei Blonde Redhead è l’avventura di una band che, a conti fatti, è molto di più di un semplice gruppo, per il suo vissuto, per i trascorsi, per le esperienze condivise. Come è possibile continuare un percorso musicale così importante, anche così ambizioso, più che trentennale, mantenendo la proposta artistica così viva e non rendendo il tutto disfunzionale? Credo servano una grande concentrazione, determinazione e capacità di mediazione…
Non è una domanda facile a cui rispondere. Ognuno di noi è cambiato molto: io, mio fratello Simone e anche Kazu. Ascoltiamo cose diverse, abbiamo delle sensibilità differenti, ma quando siamo insieme riusciamo ancora a creare con lo stesso entusiasmo di sempre. Trovo sia ancora molto interessante lavorare con lei. Ritengo che, a livello di gruppo, non abbiamo ancora prodotto quello che, credo, potremmo scrivere in potenza. Ci sono molte altre cose che vorrei cercare di realizzare a livello musicale con la band. Vogliamo continuare a vedere fin dove è possibile arrivare. Spingere avanti la nostra creatività. Suonando insieme escono sempre cose nuove. Forse, non avendo avuto un album “iconico”, un LP di grandissimo successo che magari le persone – prima o poi – vogliono “celebrare”, non ci siamo trovati a dover replicare situazioni già vissute, a dover guardare indietro. Senza questo tipo di “obbligo” nei confronti del pubblico, abbiamo sempre pensato ad andare avanti, concentrandoci di volta in volta sul prossimo progetto. Comunque, ci vuole molta pazienza per lavorare con un fratello; poi Kazu è quasi una sorella per me, anche se in passato è stata la mia ex. Non è facile, insomma.

Il precedente album, Sit Down For Dinner, ha ampliato ancora lo spettro sonoro dei Blonde Redhead e ha inserito nuove contaminazioni. Il vostro sound si è arricchito, è diventato ancora più policromo, cangiante, sempre più vivo. Qual è stato l’innesco per questo nuovo paesaggio sonoro? C’è un “colpevole” tra di voi, qualcuno che ha proposto la direzione all’interno del vostro trio per quelle canzoni o è stata una scelta condivisa da tutti?
Nel periodo in cui abbiamo iniziato a pensare a quel lavoro c’è stato il Covid, eravamo separati. Ho iniziato a scrivere qui da casa, mentre Kazu era in Italia, all’Elba e stava anche facendo un suo disco. Ho scritto qualcosa con lei prima che partisse, poi ho iniziato a plasmare i brani autonomamente. Ci siamo rivisti dopo un anno, un anno e mezzo. Quando è ritornata a New York, abbiamo continuato il processo di scrittura insieme. Io avevo già sviluppato alcuni brani, come Not For Me. Abbiamo affittato una casa in campagna e abbiamo ripreso la lavorazione dell’album. Kazu era reduce dall’esperienza come solista e ha voluto veramente provare delle cose nuove, in primis per sé stessa. Il nuovo suono che è scaturito da Sit Down For Dinner è frutto di una fase iniziale di scrittura individuale.

La prossima uscita dei Blonde Redhead sarà appunto The Shadow of the Guest, che rivisita il vostroprecedente album. Ho trovato questa vostra operazione molto interessante, perché dà nuova vita e offre sfumature inedite a Sit Down For Dinner. La qualità e la varietà di questo vostro nuovo lavoro è sorprendente. È stato facile riconnettersi con l’ultimo album, ripensarlo e rilanciare quel prodotto artistico, correggendolo con altre dosi di bellezza?
Kazu ha sempre voluto avere un coro, è una cosa che voleva fare da tempo, specialmente in Before. Con questo nuovo lavoro ha realizzato il suo desiderio di registrare la sua musica con un coro di bambini, il Brooklyn Youth Chorus. Poi, in altri brani, ci sono un po’ di cose sperimentali che abbiamo fatto assieme. L’album è scaturito da un’idea astratta, se vogliamo. Io volevo fare cose con degli archi sulla facciata B, solo che non abbiamo avuto il tempo. Non siamo riusciti a trasporre in musica tutte le idee che avevamo, ma ci saranno altre occasioni. Si è trattato di una cosa un po’ sperimentale per noi, vediamo come va.

Italia, Canada, Giappone, ovviamente gli States: queste alcune nazioni che si intersecano, si legano alla storia, al vissuto dei Blonde Redhead. Però, nel mio immaginario, forse un po’ stereotipato, voi siete New York come gli Interpol, Lou Reed, Jay McInerney (Le mille luci di New York), Paul Auster con la sua trilogia e il meno noto La musica del Caso. Se dovessi indicare un libro o un disco, o un artista, per tratteggiare il profilo di NY, cosa o chi sceglieresti?
Ci dovrei pensare un attimo. Beh… parlando di artisti, Lou Reed sicuramente. Lui era Lou Reed già da molto tempo quando abbiamo iniziato, ed è sempre stato una parte importante della nostra storia. Forse lui è il simbolo. Poi, sicuramente, i Sonic Youth, sempre importanti per noi. Ci sentiamo di NY, la nostra vita è qui. Io vivo in questa città da fine anni Ottanta, però abbiamo anche vissuto molto tempo a Washington DC, dove c’erano i Fugazi. Siamo sempre stati un’isoletta indipendente dal resto del contesto, ma non ci importava molto. Ci siamo sempre sentiti un po’ diversi. Però, sai, quando sei in un gruppo e si è legati, si riescono a fare tutte queste cose, queste esperienze, queste avventure. Proprio perché si è insieme si trova il coraggio per farle.

Mi ricollego a una vecchia intervista che avevate fatto in Italia. Era il 2013. In quel frangente Kazu aveva detto di sentirsi “aliena”, “off topic” molto spesso quando suonavate in concerto a New York. E quindi, di fatto, avete ancora questa sensazione di sentirvi, in qualche modo, stranieri ovunque?
Sì…

Qual è il vostro disco che, forse, è stato meno capito dal pubblico, dalla critica, magari perché avete provato cose diverse e al tempo non è stato recepito come meritava e che, forse, andrebbe rivalutato?
Forse Penny Sparkle… il processo per realizzarlo è stato abbastanza strano, perché Kazu è andata in Svezia a lavorare con i producer di quell’album, mentre io e Simone eravamo a New York a lavorare su un altro lato del disco. Io e mio fratello davamo loro queste demo, cose già fatte per lo più, e loro le ricostruivano, dando un altro tipo di suono alle nostre idee. L’ascolto al primo impatto è stato un attimo “freddo”, se vogliamo, ma riconsiderandolo adesso credo che sia stato un disco che forse andrebbe riascoltato. Ci sono alcuni brani molto belli, specialmente sentendoli dopo anni mi convincono ancora. Credo sia normale, per gruppi che hanno discografie così lunghe, avere un LP meno “capito”.

Siete stati protagonisti anni fa di What’s in my Bag – il vostro video ed altri di questo format sono su YouTube – dove gruppi, artisti solisti, comprano vinili, consigliano album. Avevate scelto cose davvero interessanti… hai qualche altro Lp da consigliare?
C’è un disco di Sam Evian, il produttore del nostro ultimo disco. Lui ha mixato Sit Down For Dinner. È un ragazzo con un talento incredibile, a mio avviso. Lui è fantastico, ha fatto questo concerto a New York ultimamente, incredibile. Tra l’altro, ha anche registrato il disco di Kazu e l’abbiamo conosciuto così. Suona la chitarra, canta ed è sempre circondato da musicisti fantastici. Abita in campagna, qua, a due ore da New York. Ha questo piccolo studio in cui siamo andati a registrare alcune cose. E, fra l’altro, anche l’ultimo disco è molto bello, è davvero una bella persona.

Che rapporto avete con il pubblico italiano?
Quando siamo, ad esempio, a Milano, ai nostri concerti tutta la mia famiglia è tra il pubblico. Zii, cugini, sorella, ecc. Lì sono in panico completo: mi sento un osservato speciale (ride). È peggio che fare un concerto in uno stadio. Però è sempre bellissimo suonare in Italia. Ci sono sempre settings fantastici. Penso, per fare qualche esempio, ad Arezzo, a Roma, o Ostia: ad esempio, abbiamo suonato in questo anfiteatro stupendo, romano. È bellissimo esibirci in Italia, mi piace molto. Quando sono in Italia sento delle cose a livello fisico: gli odori, i profumi… viene fuori un po’ di vita che magari a NY non c’è…

Sarete in Italia al Circolo Magnolia il 30 giugno e il 1° luglio al Bonsai Festival di Bologna. Ci saranno novità in questo tour?
Proporremo diverse cose, novità e pezzi dal nostro repertorio. Adesso siamo in un tour congiunto con i Bloc Party.

Com’è cambiato, ammesso che sia cambiato, il processo compositivo tra di voi in tutti questi anni? Perché, suonando assieme da veramente tanto tempo, ci sarà, presumo, stata un’evoluzione, oppure sono automatismi ormai, meccanismi talmente rodati per cui non dovete neanche ragionare, un contesto in cui viene tutto talmente naturale…
La tecnologia ha cambiato molto il modo in cui si compone, perché adesso veramente si può scrivere a distanza tranquillamente, mandarsi cose avanti e indietro, facendo tutto a casa, da remoto. Una volta, quando abbiamo iniziato a suonare, noi eravamo in una saletta, suonavamo e scrivevamo assieme. Cioè, io magari ho sempre scritto a casa con Kazu, questa è una cosa che è rimasta: con lei ci concentriamo sulle melodie, sulle armonie. Simone, sulle parti di batteria, lavora anche a distanza, poi ovviamente ci riuniamo e suoniamo insieme per provare le cose. È cambiato, perché c’è un modo di registrare completamente diverso rispetto a quando abbiamo iniziato, però ci sono cose che sono rimaste, come lo scontro creativo tra me e Kazu, che è molto importante.

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