
Per chi c’era all’epoca – e, a giudicare dalle facce e dall’età dei tipi che m’attorniavano, non erano pochi – quello dell’altra sera al Circolo Magnolia di Segrate è stato un autentico tuffo negli anni 90, quelli del post-hardcore e del noise rock chicagoano, per essere proprio precisi. In situazioni del genere, c’è sempre un po’ il timore che si possa rimanere delusi, un po’ perché il ricordo di quello che accadeva in quei giorni, nel cuore di appassionati come me, è ancora vivido, un po’ perché la paura che band ormai assurte quasi a mito possano risultare reducistiche, unicamente nostalgiche, quando non addirittura patetiche, comunque è in agguato. Io, poi, i Jesus Lizard me li ero persi sia all’epoca, sia al tempo della breve reunion di una quindicina d’anni fa, e quindi arrivavo con le aspettative derivanti da racconti di esibizioni selvagge e viscerali e la fama di live band stratosferica.
La bontà del nuovo Rack, uscito l’anno scorso dopo una pausa discografica di un quarto di secolo, faceva però ben sperare, lasciando supporre almeno un ottimo stato di salute artistico. Ora, se era lecito aspettarsi una performance dignitosa, immaginatevi la sorpresa nel trovarsi di fronte una band al contrario ancora potentissima, affilata e, grazie alla follia del frontman David Yow, pure un sacco divertente.
Suonano sul palco piccolo del Magnolia, ma la cosa, passato un piccolo momento di perplessità, risulterà essere scelta azzeccata, intanto perché decisamente più d’impatto l’impianto audio di questo palco e poi perché l’area più piccola di fronte ad esso, porta il pubblico (comunque numeroso) a stringersi nello spazio a disposizione, ricreando una dimensione più da club, che non da spazio all’aperto.
Del resto, Yow, non fa in tempo a salire sul palco e proclamare «questa è una canzone per Steve Albini» che, mentre gli altri attaccano Mouth Breather, lui è già in mezzo al pubblico a fare crowd surfing per tutto il pezzo, urlando nel microfono mentre rotola sulle teste di coloro che lo sorreggono. Particolare da non sottovalutare, credo abbia superato da un pezzo i sessant’anni d’età.
Inizia così, con quella che di fatto pare una dichiarazione d’intenti, l’ora e mezza di concerto nella quale, senza cedimenti, i Jesus Lizard sciorineranno la bellezza di ben 23 pezzi, molti attinti da Rack, certo, ma in realtà provenienti da un po’ tutta la loro discografia, con ampia selezione dal capolavoro Goat (se date un’occhiata al sito setlist.fm, vedrete che la band cambia parecchio le scalette da una sera all’altra, ulteriore nota positiva nel considerare quanto stanno facendo in questo tour).
Clamorosa l’abilità tecnica dei tre strumentisti: David Wm. Sims è un tessitore di clamorose linee di basso, caratterizzate da un sound distorto che perfettamente s’allinea agli stop & go e alle tempeste ritmiche messe a punto dal batterista Mac McNeilly, un maestro nel dosare potenza e deviazioni irregolari e imprevedibili. Come imprevedibile e fantasioso è il fraseggiare di un chitarrista quale Duane Denison, uno capace di passare dal rifferama hardcore a finezze quasi jazz, portando spesso la musica del quartetto in territori insoliti, dove possono convivere cupezza e rumore, ma persino reminiscenze blues e surf, opportunamente adattate al contesto.
E poi ovviamente c’è Yow, ancora oggi un vero animale da palco, che non si capisce dove tragga l’energia per dimenarsi come un ossesso, lanciarsi (come detto) in mezzo al pubblico, sputare (letteralmente) le sue liriche al vetriolo, inveire di tanto in tanto contro il presidente americano, facendo urlare a tutti il mantra Fuck Trump, con gran sollazzo di tutti i presenti. Un vero cantante non lo è mai stato, ma devo dire che, nell’insieme, ha retto bene per tutto lo show, dando la giusta carica sia ai pezzi nuovi, perfettamente inseriti nel repertorio d’epoca, che a brani iconoclasti come Seasick, Boilermaker, Glamourous e via, via tutte le altre.
I sorrisi soddisfatti di tutti e i commenti tra noi appassionati alla fine, hanno portato a una sola possibile conclusione: i Jesus Lizard sono ancora una band grandissima e devastante e un concerto così, anche da parte di giovani formazioni che dovrebbero sulla carta dargli la zuppa, purtroppo una rarità. Credo che ce lo ricorderemo per un sacco di tempo.