Foto © Sofia Raccio

In Concert

Koch Marshall Trio live a Tavazzano con Villavesco (LO), 24/10/2025

Ci sono concerti che non hanno bisogno di scenografie o luci stroboscopiche per lasciare il segno. Bastano tre strumenti, tre musicisti veri e un dialogo aperto con il pubblico. È il caso del Koch Marshall Trio, che venerdì 24 ottobre ha infiammato lo Zio Live Music, storico rifugio per amanti della musica suonata davvero, nella periferia sud di Milano. Sul palco Greg Koch, veterano del blues di Milwaukee, chitarrista mostruosamente dotato e ironico, accompagnato dal figlio Dylan Koch alla batteria e da Toby Lee Marshall all’Hammond. Tre personalità distinte, un unico organismo sonoro: il cuore pulsante di un blues elettrico che si apre a funk, soul e jazz con disarmante naturalezza.

Sono le 22:05 quando Koch, ancora intento a chiacchierare con i fan allo stand del merchandising, sale sul palco, collega il jack alla Reverend (marchio che si ispira al body delle Fender) e pronuncia un semplice «Alright!». Da lì in poi, non servono altre parole. The Ripper (Orange Roominations) apre le danze: quattro minuti e mezzo di groove serrato, in cui chitarra e Hammond si inseguono, si sovrappongono, si stuzzicano come due attori che conoscono a memoria il copione ma improvvisano ogni battuta. Segue Unrepentant, un brano che condensa l’essenza del trio: il blues come grammatica, il funk come vocabolario, l’improvvisazione come lingua madre.

Poi arriva Since I’ve Been Loving You dei Led Zeppelin. Qui il tempo si ferma. Nove minuti sospesi tra tensione e lirismo, con Koch che costruisce frasi di una bellezza quasi dolorosa, la Reverend che alterna gemiti e ringhi, e il pubblico che ascolta in religioso silenzio. È il momento in cui il concerto smette di essere intrattenimento e diventa rito.

«Toby Lee Marshall all’Hammond, Dylan Koch alla batteria!» presenta Greg, prima di introdurre Daddy Long Legs, funky contagioso e primo brano cantato della serata. Qui emerge il lato più ludico e comunicativo del trio: il canto rilassato di Greg, il contrappunto corale di Marshall, il groove scattante di Dylan. È musica che non chiede di essere capita, ma sentita.

La temperatura sale con una furiosa Hot ’Lanta degli Allman Brothers Band: Dylan è un treno in corsa, preciso e viscerale, mentre Marshall costruisce muri d’organo che odorano di sud e Greg Allman.
Il cambio di registro arriva con Villanova Junction Il famoso brano che Jimi Hendrix suonò a Woodstock, viene eseguito con rispetto quasi religioso. Koch chiude gli occhi, lascia parlare le corde e regala uno dei momenti più intensi della serata: un blues sospeso, essenziale, in cui il silenzio vale quanto le note. Il viaggio prosegue con Don’t Change Horses (in the Middle of a Stream), soul-funk dei Tower of Power, interpretato con il giusto equilibrio tra rispetto e reinvenzione. Marshall, alla voce, convince per calore e presenza, mentre l’Hammond ruggisce come un leone addomesticato. Il pezzo si fonde in The Tussle (From the Up’nuh), una jam che mostra l’affiatamento assoluto dei tre: sguardi, risate e un interplay che sfiora la telepatia.

Poi è tempo di slide. Con Can’t Be Satisfied di Muddy Waters, Koch rievoca la tradizione del Delta ma la filtra con eleganza moderna. Il pubblico si accende, e resta travolto da Lowellesque, dall’EP Melting in the Farmhouse: una dimostrazione di tecnica e gusto, con la slide che corre sul manico come una lama lucida, sempre controllata, mai esibita.

Altro omaggio a HendrixRed House arriva come un’epifania elettrica. Koch canta con voce ruvida e sincera, mentre Dylan e Toby gestiscono pause e dinamiche con la sapienza di chi conosce il valore dello spazio tanto quanto quello del suono. Segue un momento di pura sperimentazione: Greg gioca con i potenziometri della chitarra, ricreando effetti violino in stile Jeff Beck, ma filtrati da una sensibilità country. È un passaggio quasi ironico, un modo per dire che la tecnica, se non è accompagnata da umanità, è solo ginnastica.

Ed è proprio a Beck che dedica la perla più emotiva della serata: ’Cause We’ve Ended As Lovers. Poche note, ognuna necessaria. Koch non imita, dialoga con il maestro inglese, e ne esce con un’interpretazione intensa e rispettosa. Il finale ufficiale, Funk #49 di Joe Walsh, è puro divertimento: energia, groove e un accenno a Hearnul of Soul degli Yardbirds, come a chiudere un cerchio ideale tra Inghilterra e Midwest.

Quando il pubblico batte le mani chiedendo il bis, Koch fa spallucce e sorride: «Why not?». La scelta è perfetta — Folsom Prison Blues di Johnny Cash, in versione elettrica e pulsante, con tanto di citazione zeppeliniana (Heartbreaker). Un finale che riassume l’essenza del trio: tradizione, ironia e libertà.

Sono quasi le 23:40 quando lo show si chiude. Ma Greg è già di nuovo tra la gente, a firmare CD, scattare foto, stringere mani. Nessuna distanza, nessuna posa. Il Foch Marshall Trio ha offerto al pubblico lombardo un concerto solido, autentico e privo di qualsiasi artificio. Tre musicisti che suonano con evidente piacere, uniti da un’intesa naturale e da un groove capace di attraversare blues, funk, jazz, country e rock senza mai perdere coesione.

Lo Zio Live Club, con la sua acustica equilibrata e l’atmosfera raccolta, si è confermato cornice ideale per una serata di musica vera: diretta, comunicativa, essenziale. Greg Koch ribadisce con naturalezza che la tecnica, da sola, non basta. Serve personalità, senso del tempo e soprattutto il gusto di raccontare qualcosa attraverso lo strumento. E in questo, il trio non ha sbagliato una nota. Biglietto poco sopra i venti euro, una consumazione inclusa e oltre un’ora e mezza di musica autentica: concerti come questo ricordano perché vale la pena cercare ancora i piccoli club, quelli dove il contatto umano e la qualità del suono contano più delle luci e dei numeri.

Questo mese

INDICE BUSCADERO

The Junior Bonner Playlist

Backstreets Of Buscadero

Facebook

ADMR Rock Web Radio

La Linea Mason & Dixon blog

Rock Party Show Radio