Recensioni

Lightning Dust, Spectre

a3098168500_10LIGHTNING DUST
SPECTRE
WESTERN VINYL
***1/2

Fino a poco tempo fa, per Amber Webber e Joshua Wells, i Lightning Dust erano più che altro il side-project di quella che era la loro attività principale, ovvero la militanza in quei Black Mountain dei quali erano stati colonne portanti fin dalla prima ora. Come ben sapranno coloro che hanno seguito le vicende della band heavy psichedelica canadese, i due hanno negli ultimi tempi abbandonato quella che era la loro casa, per dedicarsi definitivamente alla loro più personale creatura. Soprattutto per la cantante, gli ultimi tempi sono stati caratterizzati da cambiamenti ed esperienze che l’hanno portata a maturare una nuova consapevolezza, come donna, artista, autrice di canzoni.

Tutto ciò si sente in Spectre, quarto album a nome Lightning Dust, ma probabilmente il più riuscito e personale dei dischi pubblicati finora. Si avverte l’impegno e l’intensità profusi da Amber Webber in questi pezzi, canzoni permeate dalla sua bellissima voce, dal suo gusto classico per la melodia, dal riverbero di echi del passato che in essa si possono cogliere. È lei la protagonista assoluta di questi dieci incantati pezzi, nei quali le sue linee melodiche sono avvolte da spirali circuenti di synth, dalle sottolineature ritmiche della batteria (entrambi elementi gestiti da Wells), dalle semplici trame di chitarre acustiche ed elettriche. Il suono è asciutto e avvolgente, penso in larga parte gestito unicamente dai due (non ho crediti sotto mano). Qui e là qualche intervento strumentale in più avrebbe fatto decollare ulteriormente le canzoni, ma questa spettrale semplicità alla fine concorre a delineare un suono magari non originalissimo, ma tutto sommato loro.

Apre al meglio Devoted To, con il suo andamento ipnotico, il vibrare di chitarre e tastiere, i graffi di quello che sembra un violoncello, strumenti al servizio del primo centro melodico operato dalla Webber. Una rock song incalzante come Run Away si specchia nella sognante e splendida Led Astray, ballata acustica che piacera ai fan dei Mazzy Star, allo stesso modo in cui l’eterea e pianistica Inglorious Flu colpirà la fantasia di quanti s’erano persi nei dischi più pop di Brian Eno. When It Rains riporta alla memoria gli Arcade Fire più rock, anche se con molta meno pompa; Joanna stempera la sua fantasmatica malinconia in un crescendo di tastiere come archi, sottolineato dal drumming stentoreo di Wells; pezzi come la pianistica More, una A Pretty Picture dagli echi wave-country-rock (con Stephen Malkmus ospite) o come la diretta e ficcante Competitive Depresison (col contributo di Dan Bejar dei Destroyer alla voce) evidenziano la capacità di mettere in piedi canzoni che conquistano al primo ascolto, ma poi s’insinuano per durare nel tempo.

Straordinario anche il finale, con i sette minuti di una 3 AM – 100 Degrees come divisa in due parti, all’inizio propulsiva e pronta alla deriva psichedelica, nella seconda parte sciolta tra i fumi lisergici di una folk song senza tempo. Proprio quest’ultima sarebbe stata una canzone perfetta anche per un disco dei Black Mountain, dove avrebbe fatto un figurone. Chi nell’ultimo loro album ha sentito la mancanza della voce e delle canzoni cantate da Amber Webber, si è sentito orfano della sua presenza, ha con Spectre la possibilità di rifarsi con gli interessi. Non si sta parlando di un capolavoro, ma qui non c’è certo penuria di belle canzoni.

 

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