Foto: Lino Brunetti

In Concert

Neurosis live a Sesto San Giovanni (MI), 12/7/2019

Serata all’insegna della musica heavy quella che si è svolta la sera del 12 luglio al Carroponte di Sesto San Giovanni (MI). Quasi un piccolo festival, perché ad accompagnare il ritorno dalle nostre parti dei Neurosis è stato infatti preparato un succoso piatto che prevedeva l’esibizione di ben tre altre band, tra l’altro non certo dei riempitivi, come vedremo a breve.

Il compito degli apripista era stato affidato ai Kowloon Walled City, formazione non solo concittadina della band di Steve Von Till e Scott Kelly – Oakland, in California – ma pure facente parte del roster della loro etichetta, la Neurot. Purtroppo iniziano parecchio presto e io, pur arrivando diretto a Sesto dal lavoro, faccio in tempo giusto a sentirne le ultime note in lontananza, mentre ancora sono alla cassa. Peccato!

Non mi perdo invece i nostri Ufomammut, esclusiva delle date italiane e band che è sempre un piacere vedere dal vivo. Il trio di Tortona, attivissimo all’estero dove spesso suona live e dove non manca di avere una meritata fama, qui giocava praticamente in casa, davanti a un pubblico nel quale potevano contare diversi amici a supportarli con forza. Il sole è a picco alle loro spalle e spande i suoi raggi direttamente nelle iridi degli spettatori. L’effetto è leggermente straniante, perché difficilmente ti verrebbe di associare la loro musica potente e massiccia al fulgore luminoso dell’estate. Eppure la cosa funziona! La componente fortemente psichedelica del loro sound sembra prendere il sopravvento e con un po’ di fantasia ci si immagina di essere in una sorta di versione doom del live a Pompei pinkfloydiano, con una serie di flash lisergici ad attraversare menti e padiglioni auricolari dei tanti ben contenti di abbandonarsi al loro trip.

Nel frattempo gli spazi iniziano un po’ alla volta a riempirsi e quando on stage arrivano gli Yob si trovano di fronte un buon numero di persone. Per loro potrebbe valere lo stesso discorso fatto per gli Ufomammut, un po’ troppa luce per calarsi veramente nel loro mondo oscuro, ma il trio di Eugen, Oregon, guidato dal cantante e chitarrista Mike Scheidt ce la mette comunque tutta per spazzolarci le orecchie e, per quanto necessariamente più breve di quando sono loro ad essere i titolari della serata, il loro set entusiasma non poco. Parecchio ampie le influenze del loro sound, un luogo dove trovano posto i riff pesanti di matrice sabbathiana, così come le dilatazioni acide della psichedelia, l’urlo rauco degli stessi Neurosis fuso a una classicità hard di fondo che in qualche passaggio li fa somigliare alle frange più ruvide del grunge. Pezzi molto lunghi i loro, dove pachidermiche sospensioni attendiste sfociano in tonitruanti esplosioni elettriche, a volte contrassegnate da una potenza di fuoco che non lascia scampo, altre dal selvaggio lirismo di visionari assoli chitarristici. Bravi, ne avremmo voluto di più!

Infine, puntualissimi alle 21:50, arriva il momento dei Neurosis. L’ultima volta li avevo visti tre anni fa, sempre d’estate, alla festa di Radio Onda d’Urto a Brescia. All’epoca Fire Within Fires era uscito da poco e loro avevano messo in piedi un mastodontico assalto di quasi due ore e mezza che ancora  ho ben stampigliato nella memoria. Stavolta dischi nuovi non ne hanno – il più recente rimane quello – e decidono di iniziare con la lenta, magnetica e torturata A Sun That Never Sets, pezzo che dava il titolo al loro (bellissimo) disco del 2001, punto massimo di proiezione nel passato effettuato stasera. L’essersi concentrati sul repertorio della fase più matura della loro carriera dà alla loro esibizione un mood quasi malinconico, che ovviamente non manca di potenza, ma che vive più che altro di una tensione latente non propriamente associabile al metal, ormai da tempo solo uno dei generi che vanno a formare la loro unica miscela musicale. Alcuni passaggi chitarristici di Steve Von Till o alcune sequenze tastieristiche di Noah Landis fanno emergere suggestioni wave e post punk (e non sarà un caso se quest’ultimo sfoggia una vistosa maglietta con la copertina di Unknown Pleasure), che si vanno a fondere con le mazzate sludge, con i wall of sound chitarristici e con quelle parti cantate che a modo loro evocano tradizioni folk e blues ancestrali. Sono composizioni lunghe e complesse le loro, che ti scavano dentro con un’intensità rara. Al dialogo col pubblico non concedono nulla che non sia unicamente la forza della loro musica, che qui si esplicita in pezzi straordinari come A Shadow Memory, At The Well, Given To The Rising o To The Wind. Le voci e le chitarre di Von Till e Scott Kelly si alternano e si amalgamano fra loro in un urlo disperato, mentre un tarantolato Landis si agita dietro tastiere e campionatore e la sezione ritmica di Dave Edwardson e di un sempre grandissimo Jason Roeder incorniciano e tengono il tutto assieme. A un certo punto alla band viene fatto capire che devono chiudere, che c’è spazio per una sola canzone (sicuramente per via delle ordinanze comunali, responsabile pure di volumi al di sotto di quanto una musica del genere meriterebbe e il grosso del pubblico voleva). Parte così una devastante Stones From The Sky, dieci minuti di estasi e dolore che al meglio hanno sintetizzato il valore di questa band grandissima. Poi, al buio e senza proclami come erano entrati, i Neurosis abbandonano il palco senza saluti ne bis (solo Roeder alza le braccia al cielo prima di abbandonare la sua batteria). Spero prima o poi di riuscire a vederli al chiuso!

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