
Terza e ultima data del grande artista australiano presso il famoso teatro zurighese, accompagnato dal suo piano e da Colin Greenwood al basso. Il Solo Tour toccherà anche l’Italia nelle prossime settimane (dal 16 al 22 luglio a Mantova, Lucca, Pompei e due date a Roma).
From Her To Eternity. La mia storia con Nick Cave inizia proprio con quell’album di debutto: era il 1984, dei Birthday Party sapevo poco o nulla, ma ne rimasi folgorato. Facile intuire il seguito. Da allora l’ho sempre seguito e, al pari di pochi altri artisti (si contano sulle dita di una mano) non ho mai smesso di ascoltarlo e inseguirlo, laddove possibile, per vedere le sue straordinarie performance.
Pur se un po’ acciaccato, e sapendo che Zurigo non è esattamente dietro l’angolo (né tantomeno il posto più economico del mondo), non ho potuto resistere. Ed eccomi qua a vedere un suo concerto, per l’ennesima volta in quarant’anni, con una novità non da poco: Nick è sul palco solo con il suo piano e con l’amico Colin Greenwood — quest’ultimo suo collaboratore da anni, un musicista apprezzatissimo che non necessita di presentazioni — al basso. È stata la prima volta, invece, in cui ho messo piede nel Teatro 11 di Zurigo, quella che si definirebbe una bellissima location, ottima resa acustica, naturalmente colma in ogni ordine di posti.
E una prima sorpresa: già un quarto d’ora prima dell’inizio del concerto, tutto il pubblico era in religioso silenzio. Si sa che noi italiani, in queste circostanze, non sempre brilliamo per senso civico, ma qui c’era di più, quasi come ci si aspettasse di presenziare a un rito sacro, un modo nuovo e diverso alle mie orecchie per manifestare l’amore del pubblico verso questo artista.
Nick si presenta rigorosamente in giacca e cravatta, fatto per lui non insolito; al confronto il buon Greenwood, vestito normalmente, sembra un impiegato in pausa pranzo. Ovazione immediata e subito Girl In Amber per entrare davvero in quell’atmosfera di malinconica spiritualità cui accennavamo — splendida, come il disco da cui proviene (Skeleton Tree). Già dal secondo brano, Nick mostra immediatamente la sua nota abilità di intrattenitore, con una capacità di creare empatia e partecipazione, da parte del pubblico, che ha pochi eguali. E in una serata raccolta come questa, il legame, e il suo funzionamento, fanno la differenza.
Il lago di Ginevra che fa da sfondo a Higgs Boson Blues (cercherò di evitare altri aggettivi per i tanti capolavori che seguiranno) scalda il pubblico svizzero, mentre le versioni di Jesus Of The Moon e di Cinnamon Horses (dall’ultimo Wild God) ci lasciano per così dire un po’ in stand-by, in attesa di altre emozioni forti. Emozioni che puntualmente arrivano con la splendida versione di Galleon Ship e con il lungo gospel di O Children, preceduta da un’introduzione toccante sulla genesi del brano stesso e sul senso quasi di impotenza verso i bambini di oggi e il futuro plumbeo che gli stiamo riservando. Il trittico si completa nella catarsi di I Need You, dove il dolore personale di cui sappiamo ritorna vivo più che mai. Seguono altri due brani dall’ultimo album — Long Dark Night e la bella Joy — ma, lo ammetto, le due ultime prove di Cave in studio non mi hanno esaltato come tanti dei suoi lavori passati.
Si prende definitivamente il volo, da qui in poi, con una splendida resa di Papa Won’t Leave You, Henry e Balcony Man, che offre a Cave la chance di alzare un siparietto con il pubblico, invitando quelli della balconata a urlare all’unisono tutte le volte che la parola balcony veniva citata (molte, davvero). L’immancabile e straordinaria The Ship Song ci conduce verso il finale dello show con un trittico da favola, che inizia con Skeleton Tree («tendo a cantarla poco, è un brano che mi fa soffrire molto»), procede con Jubilee Street (la quale, pur non avendo la forza d’urto di quand’è suonata con i Bad Seeds, resta un grande brano) e si chiude con Push The Sky Away.
Giusto trionfo finale: Nick torna sul palco, con Greenwood, per un’altra bella manciata di brani, iniziando a ricordare la sua infanzia in Australia e quando ebbe modo di conoscere la musica e le parole di Leonard Cohen. Splendida la versione della Avalanche di quest’ultimo, seguita da una He Wants You dolce ma non particolarmente accattivante. Si prosegue con un altro splendido tributo, questa volta a un suo eroe britannico, Marc Bolan (Cosmic Dancer, splendida). Una bella versione di More News From The World ci conduce alla conclusiva Into My Arms, cantata all’unisono dal pubblico, un pubblico che ha accolto Cave non solo nelle sue braccia ma anche nel suo cuore, e questo lo si sapeva. Grande concerto.