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One To One: John & Yoko di Kevin Macdonald e Sam Rice-Edwards

È accaduto oltre cinquant’anni fa eppure, osservando le immagini del docufilm One to One: John & Yoko di Kevin Macdonald e Sam Rice-Edwards, tutto è nitido e presente come fosse oggi, come se il tempo non fosse trascorso. Il sogno Beatles era finito e la coppia, innamoratissima, decise di andare a vivere a New York in maniera bohemienne, in un appartamento di due stanze (ricreato ad arte nel documentario) dove la televisione era sempre accesa, tanto da essere uno dei protagonisti del docufilm attraverso la proposta di immagini di pubblicità, telegiornali, interviste, elezioni presidenziali, scontri di piazza e tanto altro ancora.

John Lennon, a domanda, rispondeva «che gli sarebbe piaciuto che lui e Yoko fossero ricordati come due innamorati» e nulla più. Ma, ovviamente, non sarà così e la consapevolezza di sé acquisita con la terapia dell’urlo primordiale del Dott. Arthur Janov e l’avventura sentimentale, profonda e sincera, con Yoko, porterà l’ex Beatle a prendere parte e diventare un elemento fondamentale della scena della ribellione dei giovani americani.

Forse snob, forse radical chic, forse tanto altro ancora, la sincerità dei gesti artistici, abbinati alla politica, non può essere messa in dubbio. Prova ne è che, pur strumentalizzati da soggetti fortemente politicizzati come John Sinclair o Jerry Rubin, gli eventi a cui John e Yoko parteciparono, o di cui si fecero promotori, erano vissuti con sincerità tale, che anche le canzoni che ne scaturirono erano intrise di presente e di temi barricaderi. Forse non le migliori canzoni di Lennon (perché dopo il periodo Beatles e l’album John Lennon and Plastic Ono Band era arduo creare ulteriori capolavori anche se poi Imagine…) ma, dopo tanti anni, e al netto delle ingenuità socio-politiche espresse, brani come Power To The People, Instant Karma, New York City, Attica State, Cold Turkey, andrebbero liberati dalla coltre di nebbia che il tempo ha travasato su di loro, esaltandone la capacità e il desiderio di leggere quei tempi con la dovuta attenzione che meriterebbero.

Il Free People Tour, che avrebbe dovuto tenersi per “liberare i prigionieri” politici e che avrebbe provato a coinvolgere Bob Dylan “come elemento di coscienza” (e il cui organizzatore avrebbe dovuto essere il vituperato manager dei Beatles, Allen Klein), non si tenne, mentre vi furono violenti scontri tra forze dell’ordine e manifestanti  alla Convention Repubblicana di Miami. Una iniziativa nella quale Lennon, che aborriva la violenza, non volle farsi coinvolgere anche perché, predisse, «Non ho intenzione di farmi sparare». Si srotolano le immagini del rieletto Presidente Richard Nixon, detestato dall’America alternativa e mandante della famosa incursione nella sede del Partito Democratico in quell’edificio chiamato Watergate, situato nelle vicinanze della capitale, Washington D.C. Un Presidente “truffaldino”, che rispetto a quello odierno potrebbe essere qualificato come un chierichetto.

Vissero con grande frenesia gli anni americani, John e Yoko, con l’amministrazione statunitense che voleva espellerli dal Paese, i telefoni sotto controllo (e loro che registravano tutte le conversazioni a futura memoria giudiziaria) con il radicalismo culturale e politico che li voleva alle loro manifestazioni e chiedeva canzoni di militanza (e fondi). Telefono e televisione, due grandi mezzi di comunicazione a fare da corollario alla loro vita newyorkese senza, però, dimenticarsi della musica e della sua capacità taumaturgica di curare le ferite. Proprio per curare ferite verrà organizzato, il 30 agosto del 1972, il concerto denominato One to One, che vedrà impegnato il duo insieme alla band Elephant’s Memory (con Jim Keltner alla batteria) in una esibizione benefica a favore dell’ospedale psichiatrico e pediatrico di Willowbrook, nel quale albergavano migliaia di minori bisognosi di cure specifiche per le loro gravissime patologie. Se volete approfondire, leggetevi questa pagina di Wikipedia.

Fu un concerto splendido (anzi due, pomeriggio e sera) che vide l’ex Beatle calcare lo stesso palco dove tredici mesi prima si erano esibiti George Harrison e Ringo Starr, Bob Dylan, Eric Clapton e altri per il concerto in favore dei rifugiati del Bangladesh. In quei due set si manifestò l’anima del musicista, che metteva tutta la sua forza d’animo e d’arte nelle canzoni che cantava. Un’interpretazione che avrebbe dimostrato la grandezza del performer Lennon dove, tra le altre cose, riesciva ad ammaliare il pubblico con una versione spettrale di Mother e con una Imagine piena di dolcezza, a cui si abbinano le immagini di alcuni bambini “in gita” via dall’ospedale in cui erano rinchiusi, abbracciati a varie persone che li avevano accolti in un parco della città. Struggente il saluto di uno di questi bambini che ritorna sul bus per il rientro mentre la ragazza che l’aveva in braccio si allontana piangendo, “protetta” dalle note di Imagine.

Scorrono immagini e temi: l’allontanamento della figlia di Yoko, Kioko, da parte del padre, Terry Cox (che la rapì) e il peregrinare della mamma (e Lennon) per ritrovarla. L’esibizione di Yoko della canzone Don’t Worry Kioko rende manifesta una voce e una interiorità da parte di Yoko davvero inaspettata, così come avviene nel duetto con Lennon di Luck Of The Irish, oppure nella sua interpretazione, voce e piano, di un suo brano dolcissimo (dal probabile titolo di Age 39). Con un piede nella storia locale, s’incontrano l’omicidio di Joey Gallo, che Dylan trasporterà nel suo album Desire, la figura di Angela Davis, le “intemperanze” verbali del Senatore George Wallace, quattro volte Governatore dell’Alabama, con le immagini del suo ferimento (che lo lascerà invalido a vita) e la scarcerazione dell’attivista radicale John Sinclair, anche grazie alla presa di posizione di Lennon con la canzone omonima.  

Alla fine, trattasi di un documentario d’amore: quello della coppia Lennon-Ono, quello della coppia con New York, quello dell’intellighenzia americana con la coppia, quello della potenza della musica contro le ingiustizie. È la storia di una parte della vita di Lennon-Ono, una coppia  particolare dove uno è una leggenda che ha il coraggio di abbandonare una sorta di castello posto in una grande tenuta, (Tittenhurst Park, nel Berkshire), con laghetto e studio di registrazione inclusi, per andare a vivere al Village, per due anni, in un appartamento probabilmente grande come un loro precedente bagno. Ma questi erano John e Yoko, stravaganti, forse, inquieti. 

Ci sono alcune immagini a rendere manifesta una storia davvero particolare. Una Give Peace A Chance con la presenza di Stevie Wonder, l’interpretazione di Come Together con l’enfasi sull’inciso shoot me, il trasloco, nel marzo del 1973, nella nuova residenza, elegante e fastosa del Dakota Building, il piccolo Sean Lennon e le cure materne e paterne a cui è amorevolmente soggetto. Avrebbe dovuto essere l’inizio di una vita nuova, nella quale Lennon si sarebbe totalmente immerso per dedicare tempo e attenzioni al suo secondo figlio (il primo, Julian, era giunto forse troppo presto) e la visione di un film poco noto, Two Of Us, aiuta a capire quel periodo di vuoto musicale e forse esistenziale in attesa di Just like starting over.

A chiudere il film le note di Freda Peeple, canzone contro la guerra («non disperate, la paranoia è dappertutto/possiamo scrollarcela di dosso con l’amore quando ci fa paura/quindi gridiamolo forte come una preghiera») e di 9 Dream (nove, un numero caro a Lennon) canzone del presagio («la musica tocca la mia anima/qualcosa di caldo, improvvisamente freddo/la danza degli spiriti si stava svolgendo”).

Cari John e Yoko, vorremmo gridare con voi War Is Over e dare ragione alla vostra utopia. Ma così, ancora oggi, purtroppo non è.

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