
Paolo Fresu/Richard Galliano/Jan Lundgren
Mare Nostrum IV
ACT
***1/2
Stefano Bollani & Iiro Rantala
Jazz at Berlin Philharmonic XV
ACT
***1/2
Due album di grande interesse vengono prodotti dalla notevole label tedesca ACT, etichetta che ci aveva da poco donato la meraviglia dal vivo del Michael Wollny Trio. E questi due dischi riguardano due nostri jazzisti (tra parentesi bazzicanti sovente, e con piacere, anche in altri lidi più o meno limitrofi): Paolo Fresu e Stefano Bollani.
Sembra persino superficialotto ribadirlo, ma essendo il disco di Fresu, poeta supremo della tromba, il capitolo quarto di questo Mare Nostrum, superba avventura musicale condotta insieme a due fuoriclasse – ossia il fisarmonicista transalpino Richard Galliano e il pianista svedese Jan Lundgren – si rischia di non soffermarsi troppo dinanzi a cotanta elargizione di classe e bellezza. Eppure dinanzi al clima equoreo di Belle-Île-En-Mer, o al magistero romantico-crepuscolare di Alone for You, oppure ancora alla carezza meridiana di Hope si rimane egualmente estasiati come già avvenuto per i momenti (non pochi) eccellenti dei capitoli I (2007), II (2016) e III (2019) di questo progetto. Ma anche la scorribanda mediterranea di Hidden Truth, l’impressionistico acquerello di Colette, la dolente leggiadria di Eloquence e i rimpiattini contrappuntistici di Daniel’s Farfars Låt permettono alle tre voci strumentali di intrecciarsi e di dialogare a livelli poetici difficilmente eguagliabili. Poi c’è una versione de La Vie en Rose capace di condensare, ma anche di prendere cortesemente congedo, sia dalla voce della Piaf, sia dal mood della Sabrina di Wilder. Ma degne di accarezzare i labirinti più tortuosi dei sentimenti sono pure Man in the Fog (Fresu sordinato è naturaliter elegiaco), Float (piccolo trattato di cantabilità dello struggimento), Life (pennellata di sofferta crepuscolarità) e Lullaby for Two (plastico dondolio lirico).
Di ben altra atmosfera è il disco di Bollani – realizzato con un altro pianista, il finlandese Iiro Rantala – che è il XV capitolo della serie Jazz at Berlin Philharmonic. Per e con l’istituzione germanica già Bollani aveva prodotto l’ottavo capitolo della saga, ossia Mediterraneo (2017), col suo trio danese completato da Jesper Bodilsen al contrabbasso e Morten Lund alla batteria e arricchito dalla fisarmonica di Vincent Peirani. Ma qui questi due titani degli 88 tasti, entrambi di cristallino training classico, hanno trovato sul palco della Philharmonie di Berlino il 1° febbraio 2023, un comune campo di (inter)azione in ben sette arie d’Opera (e dintorni), genere eminentemente italiano. L’abbrivio riguarda il Preludio verdiano de La Traviata, dove i due musicisti si divertono ad arruffare i capelli alla partitura originale citando lacerti fuggevoli di ‘O Sole mio e innestando passi di beguine o altri sheets di mnestica repertoriale. Perfetto assist per la Caruso di Lucio Dalla che, oramai, a pieno titolo è considerata aria melodrammatica anche per la palese dedica al più grande tenore della prima metà del novecento. Quanto il brano d’apertura brillava per humour, tanto questo secondo pezzo dà fondo alle risorse drammatiche del pianismo di entrambi i musicisti, capaci di cavarne un piccolo prodigio di enfasi chiaroscurale. Composizione di Bollani è, invece, All’Inizio, uno scherzo di altissima classe tra stride, boogie, da-da-um-pa, sprazzi fuggevoli di Stevie Wonder e singulti folloidi, a cui segue il Musetta Waltz da La Bohème di Puccini, nel quale si scorgono reconditi riferimenti a Jarrett e a Bley. La June di Rantala, che già nella versione dello straordinario album My Finnish Calendar (2019) coniugava eccezionalmente leggerezza e malinconia, con l’innesto di Bollani diventa una festa pianistica degna degli sketch di Chico e Harpo Marx. Il Va’, Pensiero del Nabucco di Verdi mantiene il mesto e solenne spirito del maestro di Busseto, ma i due lo infarciscono di cluster, sperimentazioni e altri colpi di scena. Finale lasciato alla Te Voglio Bene Assaje di – forse! – Donizetti o di – forse! – Sacco, melodia tra le più note e struggenti del repertorio napoletano che Bollani e Rantala, tra sberleffo e finezza, conducono a vette accessibili a pochi.
Per concludere, due dischi che testimoniano quanto ormai il jazz italiano sia indiscutibilmente di caratura mondiale e capace di dialogare con le più svariate culture.