Foto © Lino Brunetti Come credo di avere scritto altre volte, se pure ne andasse dalla mia vita, probabilmente mai riuscirei ad azzeccare quanto pubblico ci sarà a vedere un concerto. Non mi aspettavo un pienone per i Brian Jonestown Massacre e invece c’era; avevo pensato che i Ride potessero suonare in un Alcatraz in assetto intero e invece, non solo lo trovo allestito nella sua versione ridotta, ma questa, della tripletta di serate commentata qui sul nostro sito, è quella con la minore affluenza di pubblico.
Dieci anni fa, sull’onda della reunion dopo un’assenza di 19 anni, la band inglese era tra gli headliner del Primavera Sound; oggi, nonostante tre nuovi dischi pubblicati a dir poco eccellenti, che quasi pareggiano la conta coi dischi storici e di fronte ai quali di certo non impallidiscono, mancano di beneficiare della popolarità dello shoegaze su piattaforme come Tik Tok (cosa che invece ha fatto la fortuna degli Slowdive, per dire) e, almeno dalle nostre parti, continuano a porsi più come una band (d’ampio, ok) culto, che altro.
Poco male, perché se il valore di una band si misura con quello che fa a livello artistico (siano essi dischi o concerti), non si può che rilevare il buonissimo stato di salute della band di Andy Bell e Mark Gardner, che più volte avevo visto in passato, ma che finalmente riesco a gustarmi tra le mura di un club, la situazione ideale per poter godere appieno del muro del suono messo in campo in alcuni frangenti.
Ad aprire ci sono i pesaresi Soviet Soviet, in procinto di pubblicare un nuovo album (del quale qui donano qualche assaggio) che, così a primo ascolto, non credo si discosterà troppo dalle loro cose abituali. Post punk non privo di melodia, tiro killer e una potenza di fuoco notevole, ci dicono di una band conscia dei propri mezzi e tra le migliori, nel genere, del nostro paese.
I Ride sono ancora in giro a portare le canzoni dell’ultimo Interplay, uscito l’anno scorso, e non c’è da stupirsi se sono molte le canzoni tratte da quell’album. Si parte infatti con le nuove Monaco e Last Night I Went Somewhere To Dream, le quali comunque dimostrano di non avere nulla da invidiare ai brani classici, che iniziano ad apparire qui e là, a partire da una Dreams Burn Down naturalmente eccellente, visto, ehm, l’interplay tra le chitarre fumiganti di Bell e Gardner e la sezione ritmica incisiva formata da Steve Queralt al basso e da un magistrale Laurence Colbert dietro le pelli.
Tolto l’ultimo, dei due dischi post reunion vengono suonati i pezzi che erano usciti come singoli, l’eccellente Future Love e Lannoy Point, col resto della scaletta a dividersi tra alcuni pezzi nuovi – Last Frontier, Light In A Quiet Room, Peace Sign, ad esempio – e alcuni classici che, nonostante non si punti affatto sull’effetto nostalgia, quasi inevitabilmente risultano comunque essere tra i momenti più esaltanti, e basterà soltanto citare i titoli perché i fan della band capiscano: Cool Your Boots, Vapour Trail, Seagull, Leave Them All Behind, Chelsea Girl, autentici pilastri dello shoegaze e del pop inglese tutto, non a caso messi in chiusura di show, così da dare al tutto le sembianze di un approdo trionfale, come in effetti è stato.
Sorridenti e pacati, gentili e umili pur con un curriculum artistico spaventoso, i Ride non vivono nel passato, ma ovviamente non fanno neppure finta di non aver scritto quelle pagine gloriose. Rimangono ad ogni modo una delle band più grandi del genere, che soprattutto quando suona a pieno regime letteralmente spacca, e che probabilmente avrebbe dovuto raccogliere un po’ di più di quanto non abbia fatto. Bene per chi c’era, serata davvero notevole.