
Apertura piuttosto bizzarra quella scelta per il concerto di Six Organs Of Admittance all’Arci Bellezza di Milano. Prima di Ben Chasny, infatti, sale sul palco Lorenzo Salvetti, giovanissimo cantautore, noto più che altro per aver partecipato all’edizione 2024 di XFactor. È a causa sua che, a inizio serata, i posti delle prime file sono occupati da uno sparutissimo manipolo di ragazzine entusiaste, mentre dietro è pieno di persone sulla cui testa campeggia unicamente un grosso punto di domanda. Io ammetto di essermene rimasto fuori a bermi una birra in santa pace con gli amici, anche perché, nell’unico momento in cui sono entrato, il buon Salvetti era alle prese con una fiacchissima, oltretutto tagliata a metà, cover di Sfiorivano Le Viole di Rino Gaetano e mi è bastato.
Appena il cantante scende dal palco, scompaiono anche le sue fan e arriva finalmente il momento di prendere posto. Anche se realizzati basilarmente in solitudine, gli ultimi album a nome Six Organs Of Admittance sono più o meno tutti caratterizzati dal ricorso a textures, drones, loop e altri elementi sonori ad arricchire le canzoni. Qui Chasny si presenta invece nella sua forma più pura ed essenziale: solo una Fender Jaguar, un amplificatore e nessun pedale ad alterare in alcun modo quello che emerge dal movimento delle mani sulla sei corde.
In passato m’era capitato di vederlo anche con una band, in versione rock e super elettrica, ma devo dire che è probabilmente questo l’assetto più naturale del progetto. Del resto, Chasny è un eccellente chitarrista e il suo mondo è quello del folk psichedelico più ipnotico, debitore allo stesso tempo nei confronti di traditional e delle ballate anglo-scoto-irlandesi, così come dei raga indiani o delle sperimentazioni dei primitivisti americani.
Tutto ciò è quello che s’è sentito nell’oretta scarsa che è stato sul palco, un fluire di note circuenti e ipnotizzanti, capaci di farti volare via o indurti a smarrirti estasiato in queste atmosfere mantriche e sospese. Qui e là ci mette la voce a tratteggiare melodie perse nel tempo; in altri casi è solo la chitarra, suonata con la perizia di un maestro dello strumento, a corteggiarti con le sue scale e le sue melodie.
In mezzo a quelle che presenta come vecchie ballate inglesi (ma era un pezzo dei Cure), infila ovviamente tanti dei suoi brani, a volte unendo le cose in dei medley. È facile riconoscere pezzi splendidi come Shelter From The Ash, Light Of The Light, Taken By Ascent o la recente Pilar, ma qui più che mai citare un pezzo più che un altro ha poco senso, perché il tutto si è profilato come se si fosse trattato di un unico trip immersivo, dal quale emergere solo nel momento dell’accensione delle luci in sala. Fascinosissimo.