SPRINGSTEEN: LIBERAMI DAL NULLA
(Springsteen: Deliver me from Nowhere)
Scott Cooper — USA, 2025, 119’
Liberamente tratto da Liberami dal nulla (Jimenez) di Warren Zanes, il film di Scott Cooper racconta la battaglia dell’artista con un album e per un album, evocato come un’ossessione contenente un oscuro presagio. Questo presagio ha poi afferrato Bruce Springsteen e, durante la lavorazione di Nebraska, lo ha trascinato nei meandri oscuri e tormentati della sua anima, benché il nostro fosse a un passo dall’assurgere all’olimpo del rock (espugnato in seguito).

Ma non c’è successo che tenga quando i fantasmi del passato ti braccano con la costanza immortalata nei fotogrammi di Springsteen: Liberami Dal Nulla. Il rapporto conflittuale vissuto col padre — l’interpretazione di Douglas Springsteen da parte di Stephen Graham è una delle migliori risorse della pellicola — è al centro di un film lontanissimo da qualsiasi tentazione trionfalistica, destinato a scontentare chi si aspettasse un concentrato di epos. Siamo di fronte a due ore di viaggio nel profondo dell’uomo Springsteen, con tutte le sue contraddizioni e paure, con i ricordi colmi di tormenti, con il terrore di amare qualcuno non sentendosi all’altezza delle proprie responsabilità; una discesa nella sofferenza interiore e nella depressione da cui riemergere per dare un senso alla propria vita.
Un libro di Flannery O’Connor, il palco dello Stone Pony, Jon Landau nei panni del padre putativo, le immagini televisive del lungometraggio La Rabbia Giovane, l’affetto della madre Adele Zerilli, le angosce e l’aggressività del padre: Springsteen: Liberami Dal Nulla è un film da «leggere» con delicatezza perché racconta di un uomo famoso e in apparenza vincente alle prese con la sua intima fragilità. In fondo, è un’opera sul bisogno di dare e ricevere affetto, come evidenziano le sequenze finali, quando Springsteen sr, in cerca di redenzione, nel backstage di un concerto chiede al figlio, stupefatto, se questi voglia sedersi sulle sue gambe, un segno tardivo della dolorosa consapevolezza dei propri limiti emotivi.
Un accenno — doveroso — va alla prova superlativa di Jeremy Allen White, che recita con intensità non tanto lo Springsteen celebrità in pectore, quanto l’uomo Bruce, mentre la musica di Nebraska si diffonde come una specie di mantra dolente. Una delle ultime immagini della madre di Springsteen in vita, la vedono ballare con il figlio: fa tenerezza, quindi, scorgere il musicista bambino danzare con la genitrice attraverso il velo soffuso di un b/n flou, lo stesso in cui osserviamo Doug, da solo al tavolo della cucina, combattere con i propri demoni.
Film da non perdere, previo ripasso dell’album con attenta lettura dei testi.