In Concert

The Delines live a Chiari (BS), 15/5/2025

L’ultimo lavoro, Mr.Luck & Ms.Doom, è quello che è piaciuto di più della loro contenuta ma significativa collezione di dischi e lo si vede nel set che portano in giro oggi rispetto a quelli visti dal sottoscritto nel passato. Più colorato, più dettagliato nelle loro sfumature e nei loro intrecci vocali, pur lasciando invariato un sound che è soprattutto un’atmosfera, una magia sonora che investe l’ascoltatore portandolo in storie che, nonostante siano ai margini di un’America sognata, comunicano sentimento, condivisione, visioni.

Canzoni che scorrono sinuose, anche quando di fondo c’è l’amarezza e la tristezza di un racconto di emarginati, amanti delusi, donne battute, che riescono a far dondolare i sensi, sono attraenti e seduttive, grazie alla voce e alle movenze di Amy Boone, che non si distacca mai dall’essere una carezza consolatoria. Eleganza, sobrietà, classe sono i termini che mi vengono in mente osservandoli composti ma complici sul palco del Circolo ADMR di Chiari, il quale dona loro l’acustica perfetta, perché la musica minimale ma intensa si estenda nell’aria che aleggia sopra il centinaio di persone rapite, ipnotizzate dal quanto possa essere emozionante un suono che a tratti rasenta il silenzio.

Willy Vlautin, l’autore di queste storie dell’America profonda, è vestito come un pendolare che la mattina prende il treno per raggiungere l’ufficio della grande città, abito marrone di taglio Facis, suona una diavoletto bordeaux, ovvero una Gibson SG, e, essendo abituato a vederla in mano a tipi che fanno assoli che ti portano su un’altra galassia, mi meraviglio di come lui sappia ridurre al minimo l’effetto, ricavando note che sono solo un passo oltre il sussulto.

© Marcello Matranga

Dall’altra parte del palco Cory Gray è l’arrangiatore della band, colui che ha messo aria fresca nell’ensemble, con la sua tastiera e la tromba, che spesso suona contemporaneamente, scarabocchia l’originale folk-rock desertico di Vlautin con schizzi di jazz, dove è facile trovare Chet Baker ma anche gli Spain, oltre che certi esperimenti tentati da Joe Henry.

Al centro Amy Boone, con la sua voce di velluto e le sue movenze dondolanti, misurate ma terribilmente comunicative, concede un soul da ora tardi che è  l’anima del sound dei Delines, qualcosa che è sfuggito a Bobbie Gentry, messo a spurgarsi di qualsiasi ruvidezza in una brocca di vino rosso d’annata.

Affascinante nella sua dolcezza e nel suo potere visionario, una tale musica, unica nel suo genere nel panorama attuale americano, è solo di poco irrobustita da una sezione ritmica in punta di piedi, con Freddy Trujillo al basso e Sean Oldham alle percussioni, i due che di questo lovely sound si occupano del battito cardiaco, che quando accelera si chiama Maureen o Left Look Like Frazer o Mr. Luck & Ms.Doom e quando diventa bradicardico ha i titoli delle struggenti The Haunting Thoughts e JP and Me, oppure della sensuale Sitting on the Curb.

I Delines portano in scena l’ultimo album, ma c’è posto anche per la bellissima Little Earl, con cui si apriva il precedente The Sea Drift, da cui pescano anche lo strumentale Lynette’s Lament, col quale introducono il richiesto encore, mentre di più antica memoria sono That Old Haunted Place e le storie di amanti di The Imperial, dall’album omonimo, mentre il deserto, luogo dello spirito tanto amato da Willy Vlautin, trova sfogo in My Blood Bleeds The Darkest Blue, tra nervature elettriche e psichedeliche, in un decor morriconiano non tanto distante dai Calexico, un brano scritto ai tempi di The Sea Drift, ma non incluso in quell’album.

Diciassette titoli, un’ora e mezzo di concerto, quanto basta per visitare il paradiso del vero sentire.

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