Foto: Rodolfo Sassano

In Concert

The Tallest Man On Earth live a Milano, 15/10/2015

Se il recente, ottimo Dark Bird Is Home è stato per Kristian Matsson il primo disco concepito quale album da band, era ovvio che questa scelta avesse una sua prosecuzione anche in sede live. Ad accompagnarlo, questa volta, c’erano infatti ben quattro musicisti, intenti ad aggiungere chitarra elettrica, basso, pedal steel, piano, batteria, viola e sax, alla sua voce e alle sue chitarre. Svolta elettrica che non ha visto arrivare dal pubblico nessun “Giuda!” di dylaniana memoria, ma solo tanto calore ed affetto. Infatti, ad accogliere il per nulla alto The Tallest Man On Earth – questo lo pseudonimo, presumo ironico ora che l’ho visto di persona, con cui Matsson è conosciuto –  c’era un Alcatraz sold out (sia pur, come spesso accade, diviso a metà), con diversi appassionati rimasti con loro gran dispiacere fuori dalle porte.

La decisa forza delle sue canzoni è quella di essere in grado di operare una sintesi perfetta tra mondi attigui, ma non sempre così comunicanti fra loro. Nella sua musica si trovano infatti echi del primo Bob Dylan, quello più folk e classico, da sempre considerata una sua fortissima influenza; con certe canzoni dell’ultimo album, poi, si è evidenziata una vicinanza col Tom Petty più pop o con un heartland rock springsteeniano, che ai giorni nostri rieccheggia di rimando un pochino anche i War On Drugs; soprattutto, la gran parte dei suoi pezzi ha una fortissima aura pop, cosa che non poco gli ha permesso d’imporsi tra gli appassionati più giovani, quelli che stravedono per i Mumford & Sons e che vedono il new folk come l’ultima frontiera Pop.

Tutti questi elementi si fondono assieme in una resa live superlativa, efficacissima sia nei momenti full band, che in quelli in cui The Tallest Man On Earth rimane solo sul palco. Il ragazzo ha canzoni di grandissimo spessore – con qualche pezzo cantato in coro da tutto il pubblico, come se si trattasse di un classico – una voce ed una presenza scenica che non lasciano indifferenti, il piglio brillante di chi sa come modernizzare la tradizione in canzoni che possano essere significative per le nuove generazioni di questo incerto nuovo millennio. In un’ora e tre quarti ha insomma emozionato, commosso e fatto ballare al ritmo del suo miscuglio di folk, rock e pop, alternando i brani del vecchio repertorio a quelli più recenti. Bella serata, graziata inoltre dalla presenza di Phil Cook dei Megafaun in apertura di show, che in una mezz’ora abbondante ha presentato i suoi blues acustici, questi si nettamente più calati nella tradizione americana, in parte tratti dal suo fresco di stampa debutto solistico.

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