C’erano diversi motivi di interesse attorno al ritorno a Milano, dopo sei anni, dei These New Puritans. Innanzitutto la questione legata alla resa live del nuovo notevole album, Crooked Wing, e poi la curiosità di verificare se la band fosse in grado di riscattare la performance non certo convincente del 2019 sempre al Santeria. Alla fine, e lo diciamo subito, l’esibizione ha mostrato un deciso miglioramento rispetto allo show pre-covid, ma soprattutto ha innescato una serie di riflessioni sulla natura della band stessa e su una questione aperta da sempre, ovvero la relazione tra il fare musica live e in studio.
Ma cominciamo dalla fredda cronaca, per citare Albanese: la band si è presentata in formazione a quattro con un vibrafonista/percussionista e un tastierista. La scaletta è stata imperniata sulle canzoni di Crooked Wing, i quali, però, sono stati i momenti meno convincenti dell’intera esibizione: una ballata come Bells ha finito per perdere buona parte del suo pathos senza la dimensione orchestrale dell’album, mentre è apparsa davvero infelice la scelta di eseguire Industrial Love Song senza la controparte femminile, che nell’album era interpretata da Caroline Polachek. Jack Barnett ha detto in un’intervista che ha scelto la voce della cantante americana perché faceva apparire la propria ancora più brutta, creando un contrasto interessante, ma la mancanza di questa contrapposizione, dal vivo, mette soltanto in evidenza i limiti del cantato di Barnett.
Molto più convincente invece, l’interpretazione vocale in I’m Already Here che, con il suo arrangiamento più misurato, basato soprattutto sull’interplay tra pianoforte e vibrafono, è parsa decisamente all’altezza della versione in studio. I due episodi più ritmati e industriali, invece, Wild Fields e A Season in Hell, hanno beneficiato della ritmica robusta di George e del percussionista aggiunto, ma sono risultati poco incisivi nel confronto con la perfezione dei suoni e degli arrangiamenti in studio.
Tra i brani degli album precedenti, non tradiscono mai le epiche We Want War e l’ipnotica Three Thousand (da Hidden) con la loro enfasi ritmica. I brani migliori, infine, sono risultati un’intensa versione di Where the Trees Are on Fire ma soprattutto V (Island Song), con una dilatata coda strumentale straniante, paranoica e psichedelica. Un’altro brano tratto da Field Of Reeds, la sublime Organ Eternal, ha chiuso lo show con un finale molto più ritmato rispetto alla versione originale, improntato a un crescendo ottundente e ipnotico, dominato dalle tastiere e da una pedal steel trasfigurata dagli effetti, suonata dal tastierista.
Insomma, pur risultando più soddisfacente del concerto del 2019, l’esibizione ha messo in luce alcuni aspetti importanti, come la difficoltà per i due fratelli Barnett di riuscire a portare con successo sul palco i brani del nuovo disco. Il punto, probabilmente, è che i These New Puritans sono una band solo sulla carta; con il tempo, infatti, la sigla, da formazione vera e propria, è diventata di fatto la proiezione dell’ispirazione e della creatività di Jack, concretizzate poi attorno al talento percussivo di George, al perfezionismo e all’abilità fuori dal comune dal punto di vista produttivo e di arrangiamento dello stesso Jack, con il fondamentale aiuto di Graham Sutton.
Quando si tratta di traslare il tutto nella dimensione live, i due fratelli si trovano a fare i conti con la realtà che impedisce, dal punto di vista pratico ed economico, la riproduzione fedele dell’album nella dimensione live. A questo punto le strade da seguire avrebbero potuto essere quelle di una rivisitazione radicale dei brani, per renderli adatti all’organico ridotto, o dell’utilizzo di numerose basi pre-registrate, che è stata alla fine la soluzione adottata. Una scelta che ha inciso negativamente sull’impatto dell’esibizione, ma che in fondo coincide con la natura intima di ciò che sono diventati i These New Puritans: una band orientata totalmente all’incisione in studio, che incidentalmente “deve” portare il proprio repertorio sul palco.
Forse negli anni gloriosi del rock, i Barnett avrebbero avuto il budget necessario per trasportare efficacemente la propria visione nella dimensione live, ma ora viviamo nell’era nella quale al banchetto, dove i fratelli si offrono al pubblico con generosità, troviamo tristemente scritto «la vendita del merchandising è fondamentale per diminuire le perdite del tour». Una scritta che spiega molte cose e che in fondo ci fa perdonare molto più volentieri i difetti e concentrare sui pregi dell’esibizione di una formazione che, se ha una colpa, è forse quella di essere troppo brava tra le mura di uno studio e di consegnarci dei lavori talmente belli da creare delle aspettative che, nel mondo reale di oggi, difficilmente possono essere soddisfatte.