
VV. AA.
The Hamburg Repertoire
2CD, Él Records / Cherry Red
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Questa doppia raccolta viene valutata con 3 stelle soltanto perché di sicuro i brani qui raccolti li avrete già, in molti dischi e in più versioni. Tuttavia, l’assemblaggio meriterebbe molto di più perché racchiude (o cerca di racchiudere) quello che avrebbe potuto essere il repertorio dei Beatles nel loro periodo trascorso presso Amburgo.
Fu proprio all’inizio dei ’60 che John Lennon, Paul McCartney, George Harrison, “Stu” Sutcliffe e Pete Best si recarono sulle rive dell’Elba; poi Sutcliffe se ne andò e Best lasciò il suo posto a Ringo Starr, pure lui nella cittadina anseatica al seguito di Roy Storm & The Hurricanes (erano infatti molte le band di Liverpool che esportavano il Merseybeat in Germania).
Amburgo, specialmente nella parte dei docks portuali, era un territorio malfamato e pieno di locali equivoci, popolati da marinai in libera uscita, papponi, prostitute: fu in questo variegato ambiente che si formarono i Fab Four. La loro vita era dura, venivano pagati poco e dovevano esibirsi più volte al giorno. Dovettero quindi rinforzarsi nel fisico (assumendo anfetamine) e soprattutto nel repertorio, sottostando alle richieste dei padroni dei locali e dei clienti spesse volte ubriachi. Lennon ricordava come per soddisfare i tedeschi fossero obbligati a suonare a lungo, anche 12 ore di seguito («Allora interpretavamo qualsiasi cosa ci venisse in mente. Non c’era nessuno da copiare. Suonavamo ciò che ci piaceva di più»).
Ecco, quindi, un Bignami del repertorio affrontato dai futuri baronetti nell’epoca del loro apprendistato (durato oltre 800 ore di spettacoli). La scelta era vasta e molto varia; alcuni di questi brani sarebbero poi finiti, come cover, sui dischi degli stessi Beatles. In The Hamburg Repertoire troviamo il rock’n’roll di Chuck Berry, Little Richard, Jerry Lee Lewis, Gene Vincent, Eddie Cochran, Carl Perkins e ovviamente Buddy Holly, ma anche il pop-soul di Coasters e Shirelles, il R&B di Ray Charles, il rock-blues di Bo Diddley, il country-soul di Arthur Alexander, le twangy-guitar di Duane Eddy, il jazz di Benny Goodman e Dinah Washington, il fingerpicking di Chet Atkins.
Insomma, c’è da divertirsi, ascoltando questi artisti, e contestualmente capire da dove i Beatles, dopo il loro definitivo rientro in patria del ‘62, abbiano tratto ispirazione. Unica e vistosa assenza, forse per motivi di copyright, è quella degli Everly Brothers, da cui i Beatles appresero l’arte delle armonizzazioni vocali.