WEST TEXAS EXILES
8000 Days
Floating Mesa
***½

Marco Gutierrez, Daniel Davis e Colin Gilmore sono tre chitarristi, cantanti e autori che da qualche anno hanno unito le forze e, insieme al batterista Trinidad Leal e al bassista Eric Harrison, girano col nome di West Texas Exiles. Da cui si evince la loro terra d’origine, quel Texas occidentale che è quasi uno stato a sé, tanto è lontano dal Texas costiero e centrale intento a snodarsi sull’asse tra Dallas e San Antonio, passando ovviamente per Austin. Avendo il territorio dato i natali a personaggi come Joe Ely e Buddy Holly, c’è chi ha accostato i WTE ai Flatlanders, ma sinceramente, mi sembra che qui ci sia meno indecisione e più sostanza, senza nulla togliere alle doti mostrate dai secondi (Ely su tutti) in qualità di solisti.
Dopo l’applauditissimo esordio con l’EP Volume 1, uscito nel 2023, il quintetto torna con un disco fresco e godibile che ne conferma la validità. Questi «esuli del Texas occidentale», come sede del proprio esilio, non potevano non scegliere Austin, capitale dello stato nonché della musica; tutto sommato, vista anche l’apertura di pensiero tipica di una cittadina universitaria (ben diversa dal resto dello stato), un bel luogo dove confinarsi. 8000 Days amalgama suoni e stili, in modo riuscito, e può contare su un nucleo di autori e cantanti abbastanza nutrito, proprio come accadeva negli anni ‘70: una band come quelle country-rock, fuorilegge e fricchettona a prescindere, e con orgoglio (ne reca testimonianza il look), con più voci e, su tutto, una bella selezione di canzoni. A partire dall’iniziale title-track, un brano che racchiude un po’ tutte le peculiarità del Texas, dal deserto alle noci pecan, ed è, al tempo stesso, una road song.
Cards e Circles In The Yards sono altrettanto buone, senza sbavature e con belle chitarre, malgrado l’orientamento più rock. Menzione d’onore per la bucolica Division, sulla suddivisione degli spazi in un appartamento, in cui i WTE ospitano una collaborazione con la bella e brava Kelly Willis, cantautrice esperta: l’ottima voce di quest’ultima, il vibrato dell’armonica e i suoni acustici fanno del pezzo uno dei punti forti (non l’unico) del disco. A seguire, troviamo la desertica Bright Yellow Sun; poi Wind’s Gonna Blow, country-folk con richiami irlandesi (nel refrain) e un convincente break di chitarra acustica.
What Happened è ariosa, quasi sospesa, col ritmo di una cavalcata al trotto. Dark Desire parte in sordina per sviluppare un tema dalle atmosfere ispaniche, con buone armonie vocali, chitarra vibrata e violino; in Way Are Gone, i suoni si fanno elettrici e sostenuti, le chitarre si mescolano tra suggestioni celtic punk e assoli, le armonie vocali sono quasi westcoastiane. In chiusura, infine, la breve e riposata Already Gone, con la slide quasi swingante di una cowboy song che accompagni i cavalli a riposare nella scuderia.