Interviste

Banco Del Mutuo Soccorso: intervista a Vittorio “Orlando” Nocenzi

Intervista con Vittorio “Orlando” Nocenzi: ovvero come il Banco del Mutuo Soccorso ha tradotto in musica Prog il poema Orlando Furioso di Ariosto 

Grazie a Nadia Rosciano di PromoPress Agency sono riuscito a fare una bella intervista con Vittorio Nocenzi, il tastierista e unico membro originario di una delle più gloriose band Prog Italiane, e non solo, il Banco del Mutuo  Soccorso. L’occasione si è originata in seguito all’uscita del loro nuovo disco Orlando: Le Forme dell’Amore, uno dei dischi dell’anno musicale Italiano e di sicuro il progetto più ambizioso del Banco. Il disco è nato per celebrare le nozze d’argento con la musica della band e la grafica di copertina riprende il disegno che caratterizzò proprio il loro primo disco, uscito 50 anni fa, il mitico Salvadanaio.

Il progetto di Orlando: Le Forme dell’Amore, cioè trasferire in un’opera Prog-Rock il poema epico cavalleresco del 1500 di Ludovico Ariosto, L’Orlando Furioso, è stato molto impegnativo e ha chiesto un lungo tempo di gestazione, ma il risultato mostra che ne è valsa la pena.

Il tempo passato ha lasciato i suoi  segni anche nella vita del Banco: Francesco Di Giacomo (la mitica voce e il front-man) e Rodolfo Maltese (chitarrista) sono scomparsi e innumerevoli sono stati i cambi di formazione, mentre lunga è la lista dei dischi della band capitolina, circa una ventina (senza contare i live e le raccolte), durante i 50 anni di vita.

Ciao Vittorio, mi sembra che l’idea di proporre un concept-album basato sul poema cavalleresco di Ludovico Ariosto L’Orlando Furioso, scritto ben 5 secoli fa, sia volutamente provocatoria.

Di più! Volevamo provocare il mondo contemporaneo, è necessario un Nuovo Umanesimo, sentiamo la necessità di rimettere al centro l’uomo (Unicità miracolosa irripetibile nell’Universo). L’uomo non è un conto corrente, come imposto dalla globalizzazione; noi uomini siamo pensieri, emozioni e sentimenti; siamo molto di più anima (e te lo dico da laico) che è il luogo dove si creano sogni, ideali, speranze, prospettive. Non possiamo più farne a meno. È provocatorio far uscire di questi tempi un disco ispirato da un poema scritto nel 1500, però ha avuto un successo travolgente, appena uscito era già primo nelle vendite di Amazon (categoria rock) e terzo nella categoria generalista. 

Poi avete fatto un disco, con una cura del particolare notevole, ho letto le note di presentazione e sono rimasto colpito dal fatto che di ogni singolo brano vengano presentati la genesi, la motivazione, l’attualizzazione, la struttura lirica/musicale.

Tutte queste informazioni non le abbiamo potute inserire nel disco perché ci sarebbe voluto un libro, però nelle note del disco abbiamo scritto che queste informazioni sono disponibili sul sito del Banco. Così tutti potranno ascoltare il disco, leggendo le note e i testi, come si fa con un’opera lirica.

Che tempo di gestazione ha avuto questo disco?

Molto lungo; pensa che l’idea è nata nel 2013, quando mio figlio Michelangelo venne in studio da me e Francesco (Di Giacomo) e ci comunicò la sua idea: “Tra pochi anni avrete compiuto i 50 anni dalla pubblicazione del vostro primo disco Salvadanaio e se vi ricordate il primo brano del vostro primo disco era In volo, dove la prima strofa cantava: Lascia lente le briglie del tuo Ippogrifo, o Astolfo… perché per l’occasione non vi ispirate ai vostri inizi e tornate in quel luogo ideale dove tutto ebbe inizio? È una specie di cerchio perfetto che non ha né punto di partenza ne’ punto di arrivo e quindi non c’è l’ieri, non c’è il domani, perché non c’è l’oggi; rimane solo la vostra creatività.” E ci suono’ al piano l’introduzione del brano che diventerà poi Non mi spaventa più l’amore.  Da lì nacque l’idea del disco alla cui realizzazione ho messo tutto il mio impegno perché erano tempi orribili: Francesco e Rodolfo se ne erano andati e io pure mi ero impegnato a seguirli, ebbi infatti una emorragia cerebrale ed ero entrato in coma; quindi lo dovevo fare anche per loro; al disco partecipano sia Michelangelo per le musiche che lo scrittore Paolo Lugli per i testi.

Mi puoi dare un ricordo tuo sul mai troppo compianto Francesco?

Sarebbe davvero difficile; ho passato una vita insieme a Francesco ne avrei mille; ma te ne dico uno legato all’episodio che ti ho appena raccontato. Dopo l’ascolto del brano che ci propose Michelangelo al pianoforte, Francesco, che era un tipo istrionico, satirico e rideva volentieri, disse a Michele: “ Ah regazzino, nun te monta’ la capoccia, hai scritto solo un pezzo, proprio bello, solo uno. Quando ne hai  scritti altri, torna qui!”. Purtroppo non ha potuto seguire gli sviluppi di questo disco! Il brano poi sta nel disco ed è il primo tango Prog, con una chitarra elettrica alla Carlos Santana, molto rock. È una commistione bellissima; ci sta una passionalità che mi lega ai tanghi Argentini, da quando nel 1972 assistei ad uno spettacolo di Maurice Bejart a Roma, il Faust dove alternava brani tratti dalla Messa da Requiem di Giuseppe Verdi a tanghi Argentini. Mi appassionai al Tango Argentino, tanto che nel 2000, durante un Tour solista a Buonos Aires, mi trovai al quartiere di Boca ed ad un chiosco trovai due musicisti: accordeon e violino. Chiesi loro di suonare un Tango solo per me; fu una cosa emozionante. Questo nostro brano Non mi spaventa più l’amore che racconta la dichiarazione di amore di Orlando ad Angelica, venendo da questa rifiutato, contiene tutta questa passione, liricità del tango. Fu proprio questo primo brano a dare spunto a tutto il disco, preceduto dal preludio Serve Orlando adesso che rimane quasi originale, suonato al pianoforte; e fa pensare alla liricità della Tosca di Puccini (e qui Vincenzo si mette a canticchiarmi le arie della Tosca cui si riferisce!), dove la musica  ha un respiro ampio, io cerco di ispirarmi a questi grandi esempi della cultura musicale Italiana, mediterranea.

Poi Vittorio, prendendo spunto da questi riferimenti alla musica classica comincia a raccontare la “sua” storia della genesi del Prog Italiano.

La preoccupazione che si aveva ai primi tempi del rock era di dire, ma questi a chi somigliano? Ai Jethro Tull? Ai Gentle Giant? Il Progressive Italiano non somigliava per niente a quello Inglese, o almeno alla maggior parte. Io non conoscevo niente di quella musica; a Marino (ai Castelli Romani) dove vivevo io, quella musica non arrivava. A quei tempi la distanza era di anni-luce, non girava la musica, non ci stava Internet. Non conoscevo queste band cui dicevano che somigliavamo; era semplicemente accaduto che, alla fine degli anni ‘60 la formazione classica di una band rock (2 chitarre, basso e batteria) si era impreziosita di un tastierista ed ho scoperto, andando in Inghilterra, dove feci amicizia con il tastierista dei Curved Air, che ambedue venivamo dalla musica classica, il tastierista portò dentro le rock band l’esperienza e la memoria delle pagine di musica classica e così nasce la musica Progressive. Non eravamo noi che imitavamo gli altri, ma entrambe le correnti musicali (Italiana e Inglese) si ispiravano allo stesso repertorio della musica classica. Quando andammo in tournée con i Gentle Giant, era la prima volta che li sentivo suonare, ma ho scoperto che loro erano musicisti eccellenti e quindi quei contrappunti, quelle complicazioni definite superficialmente come musica barocca, non c’entravano per niente; erano frutto di memorie, di suggestioni, di studi fatti. A volte mi sento dire, ricordi Frank Zappa, ma con lui non ho nulla a che fare; però è bastata la suggestione di Zappa ad ispirarmi un modo, un arrangiamento, una orchestrazione libera.

Fai di sicuro riferimento al brano strumentale Il Paladino in cui dici di ispirarti a Frank Zappa, un musicista che amo alla follia!

Mi fa piacere quando ho degli interlocutori così, grazie; mi piaceva da morire il modo di orchestrare di Frank Zappa; lui a sua volta si ispirava alle partiture di musica classica moderna; ammirava e aveva studiato Edgar Varese e quindi quando faceva le orchestrazioni, gli arrangiamenti per la sua band, lui  teneva conto della musica classica contemporanea. Io quando ho composto il brano Il Paladino ho pensato a lui, liberamente ispirandomi alle marimbe e agli xilofoni che adoperava dal vivo, suonati dalla meravigliosa Ruth Underwood, se pensi alle marimbe presenti in Grand Wazoo erano inusuali, delle novità. È stata comunque una suggestione mentale più che andare a copiare un modulo, una melodia o un tema.  

Poi Vittorio inizia a raccontarmi del concerto di Frank Zappa a cui ha assistito durante la tournée di Grand Wazoo; da vero appassionato mi elenca perfettamente tutta la formazione e gli strumenti.

Fummo ospitati nel parterre durante il sound-check, lui arrivò accompagnato da due donne bellissime, una Afro-americana e l’altra biondissima, con uno stuolo di bimbi; arrivò come un sultano, con la chitarra a tracolla come un fucile, e cominciò a fare le prove. Ogni due minuti si fermava e diceva: “Stop, from the top again, One, two, three, four” e ricominciavano a suonare. I musicisti sul palco si ripassavano le parti e i momenti più complessi del concerto. Lui aveva 2 consolle a 48 canali dal vivo: una per i suoni e le voci; l’altra per gli effetti, echi; e parliamo degli anni ‘70. E il suono che riusciva a produrre sul palco era addirittura superiore alla qualità della registrazione del disco. Tornai in albergo che ero estasiato, come un bimbo che tornasse dal Paese di Bengodi.

Non ho mai potuto vederlo purtroppo Frank Zappa, ma ho avuto la fortuna di intervistare il figlio Ahmed Zappa che cura le sue uscite postume e le ristampe e mi ha colpito il fatto che dicesse che, oltre alle migliaia di ore di registrazione che Frank ha stipato nei suoi archivi, ci stanno centinaia di composizioni anche di musica orchestrale che purtroppo non possono essere portate su disco a causa dell’elevato costo di un’orchestra. Vorrei analizzare con te alcuni brani che mi hanno particolarmente colpito, specialmente Pianura Rossa, che pare ambientata in un mondo distopico, e Atlante il mago, che pare invece essere il Grande Fratello che attraverso i computer controlla tutte le “gesta” del poema.

Guarda, hai centrato un altro aspetto fondamentale di questo lavoro, Orlando: Le Forme dell’Amore vuole raccontare la modernità e la contemporaneità di questo lavoro, Ariosto era un genio: ha avuto delle premonizioni profetiche. Quando lui racconta del Castello del Potere in cui abita il Mago Atlante, attraverso il quale fa passare tutti i protagonisti del poema, per inseguire false visioni che il mago fa comparire loro davanti, è come la realtà virtuale di oggi. Ariosto ci fa passare la fuga della Principessa Angelica figlia dell’imperatore del Katai, promessa in sposa al Paladino più glorioso e vincitore contro i Saraceni; per la mentalità dell’epoca era un destino da favola, perché Ariosto la fa fuggire da questo destino? Non ha senso per l’epoca. Eppure lei fugge da sola, inseguita. Secondo noi è stata una visione profetica di Ariosto. Ha immaginato una donna moderna, che vuole scrivere il proprio destino. Lo stesso Mago Atlante cos’è se non, come dici tu, il Grande Fratello, la metafora dei poteri occulti che stanno dietro ad ogni guerra. Abbiamo immaginato il suo Castello del Potere come una sala piena di monitor da cui Atlante segue tutto quello che succede. Gli manca solo un  joystick per intervenire sui personaggi, è l’immagine della eminenza grigia che sta dietro gli apparati e decide le sorti del mondo. Mancava una cosa per rendere il disco ancora più contemporaneo: il clima. Allora noi abbiamo pensato di ambientare il nostro eroe in un’epoca, in un tempo “non tempo”. Cosa significa? Che il passato quando racconta il presente è un unico momento. Passato e Futuro tutto insieme. Dove lo ambientiamo? Imitiamo l’Ariosto che già a sua volta si era ispirato all’Orlando Innamorato del Boiardo, rielaborando i personaggi a modo proprio. Facciamo anche noi così! Allora ambientiamo anche noi la battaglia nel Mediterraneo, però in un Mediterraneo distopico, prosciugato, con una sola sorgente d’acqua, cinta da alte mura e difesa dai soldati e intorno ci stanno i disperati che vengono dal resto del mondo, attraverso questo mare prosciugato reso una Pianura Rossa, per cercare di bere e sopravvivere. Proprio come sta accadendo oggi con la gente che scappa dalle guerre, dalla fame. Così abbiamo sottolineato la modernità, la contemporaneità di quest’opera. È il modo di essere coerentemente il Banco del Mutuo Soccorso: Pacifisti e Antimilitaristi! Come cantavamo già in R.I.P., canzone contro le guerre di tutti i tempi. Abbiamo preso proprio un capolavoro del Rinascimento, l’ultimo momento in cui l’Italia è stata grande nel mondo.

Poi però avete (secondo me lodevolmente) lasciato nell’iniziale Proemio, i famosi versi del Poema originario?

Sì, mi fa piacere che sottolinei questo, perché sono versi immortali : “Le donne, i cavalier, l’arme, gli amori, le cortesie, le audaci imprese io canto / che furo al tempo che passaro i Mori d’Africa il mar e in Francia nocquer tanto”. I versi contengono una musicalità di una bellezza incredibile, questa è stata una delle primissime volte in cui ho scritto la musica su misura del testo. 

Lo portate anche all’estero questo disco?

Certamente, sta dando grandi segnali di accoglienza positivi dalla Germania, dall’Inghilterra, dal Giappone (ci hanno chiesto la traduzione in giapponese dei testi).

Per concludere dammi il titolo dei cinque album che porteresti sulla Desert Island?

  • Grand Wazoo di Frank Zappa
  • Sgt. Pepper’s…dei Beatles 
  • Atom Heart Mother dei Pink Floyd
  • Koln Concert di Keith Jarrett
  • Amused To Death di Roger Waters

Grazie mille è stata davvero una bella chiacchierata.

I prossimi concerti del Banco:
2 febbraio Castelnuovo Garfagnana Teatro Alfieri 
2 marzo Catania Teatro ABC 
3 marzo Palermo Teatro Golden 
4 marzo Agrigento Palacongressi

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