Recensioni

Binker and Moses, Feeding The Machine

BINKER & MOSES
FEEDING THE MACHINE
GEARBOX RECORDS
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Cinque anni fa, il doppio Journey To The Mountain Of Forever aveva segnalato il duo composto da Binker Golding (sax soprano e tenore) e Moses Boyd (batteria) tra gli assoluti protagonisti e tra i musicisti più stimolanti della nuova scena jazz britannica. I due avevano esordito appena due anni prima, nel 2015, con Dem Ones, un album che gli aveva già permesso di aggiudicarsi il premio come Best UK Jazz Act ai Jazz FM Awards, ma fu con il doppio che la loro fama esplose definitivamente, mettendo in mostra, in un disco capace di mescolare passato e presente, il piglio inventivo del duo, in solitaria e con vigoroso approccio live nel primo atto della loro opera, con la partecipazione di diversi ospiti nel più variegato e lirico secondo atto. Un gran disco che faceva pensare alla spiritualità di Coltrane, alla forza di Sonny Rollins, che esponeva una matrice funk mutuata dal Davis elettrico e che su queste basi costruiva un linguaggio contaminato adatto ai nostri tempi.

Negli ultimi cinque anni, i due, oltre ad aver messo a segno delle opere in solo o in collaborazioni con altri, hanno pubblicato un paio di dischi incisi dal vivo, uno dei quali di inediti, ma di fatto è con il nuovo Feeding The Machine che danno un seguito all’illustre predecessore, dato che è da allora che non incidevano un lavoro in studio. E più di quello, questo nuovo album è, se non proiettato nel futuro, indubbiamente ancor più calato nel suo tempo, mettendo in mostra un visionario dialogo tra jazz ed elettronica che, se vi è piaciuto il recente disco di Pharoah Sanders con Floating Points, vi farà letteralmente impazzire, vista anche una maggiore varietà e un piglio ancora più ardito e coraggioso.

Il fatto è che Binker & Moses hanno accolto in formazione per l’occasione colui che possiamo considerare come il terzo membro onorario della band, ovvero Max Luthert, il quale si è occupato di manipolare nastri e di aggiungere textures ed effetti elettronici.

Registrato nei Real World Studios di Peter Gabriel col produttore Hugh Padgham, Feeding The Machine porta letteralmente la musica del duo in territori nuovi, nel quale il jazz si tinge di echi ambient, flirta col minimalismo e sperimenta il dialogo tra strumentazione live, campionamenti ed elettronica. Il risultato è di grande impatto e di assoluta forza espressiva, come vi sarà chiaro facendo partire subito il primo dei sei lunghi pezzi che compongono l’opera. In Asynchronous Intervals, su un tappeto ambient/psichedelico, costruito attraverso ipnotici campionamenti del sax stesso e liquide figure di synth e piano elettrico, il sax di Golding svetta affastellando melodie e sbuffi free, mentre Boyd disegna non lineari figure ritmiche sempre più impetuose e incalzanti man mano che il brano procede.

Active-Multiple-Fetish-Overlord parte in maniera quasi tradizionale, ma ben presto è come se gli strumenti si sfaldassero in una poltiglia di suono che evoca venti di tempesta, attraverso un lavoro di filtraggio elettronico che non cancella, ma muta inesorabilmente la grana degli strumenti. Il resto del disco prosegue su queste direttive, incalzando con pezzi straordinari che non lasciano mai indifferenti: Accelerometer Overdose attacca ambientale e atmosferica, ma presto diventa più vigorosa attraverso il beat dritto e potente di Boyd e il sax sdoppiato attraverso camere d’eco di Golding; Feed Infinite  si appoggia soprattutto al dialogo che s’instaura tra il pulsare elettronico e la batteria, mentre il sax si muove aereo su di esso; After The Machine Settles s’insinua con un brulicare jazz elettronico, ma poi monta in forma d’inarrestabile fiumana sonora; infine Because Because muta le brume fumose delle sue campiture iniziali in un trip incalzante, i cui fraseggi serrati rimandano senza mezzi termini al più classico minimalismo.

Insomma, una nuova perla proveniente dal new jazz inglese, che ne allarga ulteriormente il territorio d’indagine. Consigliatissimo.

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