Recensioni

Brian Wilson, No Pier Pressure

brianwilsonBRIAN WILSON
No Pier Pressure
Capitol
***

No Pier Pressure è il primo disco di canzoni nuove per l’ex Beach Boys Brian Wilson, dal 2008, da That Lucky Old Sun. E’ vero che nel 2012 c’è stato il reunion album That’s Why God Made The Radio, e il seguente tour mondiale coi Beach Boys. Ma poi quel simpaticone di Mike Love ha voluto la band tutta per lui e il vero ed unico Beach Boy, Brian Wilson, è tornato a fare il solista. No Pier Pressure è un disco tribolato. Infatti arriva dopo una serie di laboriose session in studio. In origine ci doveva essere un disco di Brian Wilson con Jeff Beck, ma sono stati incisi (e non finiti) solo quattro o cinque pezzi. Poi Brian ha cominciato a lavorare a questo progetto, su due piani diversi. Questo album, un disco di pop songs sulla linea dei Beach Boys, e un disco più complesso, con anche brani strumentali. Indubbiamente tutto questo lavoro ha leggermente confuso Brian che, pur seminando qualche buona canzone qui è là, ha messo a punto un disco non del tutto convincente.
Mi spiego. Delle tredici canzoni che compongono No Pier Pressure, una è da gettare (Runaway Dancer), un paio sono così così (On This Island e Our Special Love) e poi ce ne è anche una strumentale (Half Moon Bay, con la tromba di Mark Isham). Le altre sono Beach Boys dipendenti. No Pier Pressure è quindi un disco di medio livello, un disco che piacerà ai fans di Brian Wilson, ma che difficilmente porterà nuovi adepti alla causa di Brian. Un disco di ballate, per lo più lente, intrise di voci, con Brian che domina anche se, a livello vocale, qui è aiutato dagli altri ex Beach Boys, cioè Al Jardine, Davis Marks e Blondie Chaplin. Poi ci sono Kacey Musgrawes che presta la sua voce per Guess You Had To Be There e Nate Ruess per l’ottima Saturday Night. Mentre le apparizioni di Sabu (nella pessima Runaway Dancer, in sostituzione di Frank Oceans) e Peter Hollens (nella appena discreta Our Special Love), sono più o meno da dimenticare.
The Last Song, la canzone che chiude il disco, è la composizione più bella, intensa, pensata del disco. Una slow song, cantata molto bene da Brian (ci sarebbe dovuta essere anche Lana Del Rey, ma non poi non se ne è fatto nulla): ma la canzone rimane un piccolo capolavoro, una delle ragioni che portano a comprare questo disco, malgrado le due/tre scivolate. Altre ballate degne di nota: This Beautiful Day, degna apertura. Guess You Had to Be There, leggermente country, con la partecipazione di Kacey Musgrawes, una country gal emergente. What Ever Happened, malinconica, tutta giocata sulle voci, con Brian che duetta con Al Jardine e David Marks, due degli originali. O, ancora, The Right Time (sempre Jardine e Marks), sempre molto Beach Boy oriented. Mentre in Tell Me Why c’è il solo Jardine (altra bella canzone) e un altro ex BB, Blondie Chaplin, fa la sua comparsata in Sail Away, non male. Altro pezzo da novanta, questa volta è Brian da solo, è Kind of Love, che richiama le ardite costruzioni melodiche a cui il nostro ci ha abituato. Il disco esce in due versioni, quella normale (che abbiamo recensito) e una De Luxe, che ha tre canzoni in più; Don’t Worry, Somewhere Quiet e I’m Feeling Sad.

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