Foto: Lino Brunetti

In Concert

Chelsea Wolfe live a Milano, 29/7/2018

Anche se è sul palco piccolo del Magnolia che suona, c’è la folla delle grandi occasioni ad accogliere Chelsea Wolfe per quella che è la sua unica data italiana, con gente infatti arrivata anche da fuori Milano e da mezza Italia per assistere all’evento. Il caldo è di quelli che non lascia scampo, ma i temporali della sera prima hanno quantomeno ridotto il numero delle zanzare, stasera non disturbanti come al solito.

La serata viene aperta dai Brutus, band belga guidata dalla cantante e batterista Stefanie Mannaerts, il cui unico album è uscito su Sargent House, la stessa etichetta per cui incide la Wolfe. Fanno una musica che frulla una specie di punk rock progressivo, con rifferama metallico, qualche passaggio matematico e una spruzzata di alternative rock anni 90, sulla carta magari anche interessante, nella realtà nulla che possa andare oltre un vago apprezzamento distratto per qualche passaggio e nulla più. Il grosso del pubblico, in realtà, pare interessato e e quindi forse sono io che non sono riuscito a sintonizzarmi con loro.

Magari, però, sono già tutti piazzati sotto il palco in attesa che vi salga la regina dark, lei, Chelsea Wolfe.  Il suo ingresso è anticipato prima dal drone Welt sparato dalle casse a tutto volume, poi dall’ingresso della sua band – Ben Chisholm a basso, tastiere ed electronics, Bryan Tulao alla chitarra e Jess Gowrie alla batteria – la quale senza soluzione di continuità fa scivolare il tutto nelle volte martellanti di Carrion Flowers. Quando la musica ha già assunto la forma di una gotica cattedrale sonora, finalmente arriva anche lei sul palco, in uno sfarfallare di luci che la rendono più che altro una silhouette, coi suoi lunghi capelli a coprirle spesso il viso, dal quale comunque fiammeggiano lo stesso gli occhi chiarissimi, con la veste che la copre fino ai piedi, ai quali porta due vertiginose zeppe coi tacchi. 

Il sound è in linea di massima quello elettrico, potente e metallico degli ultimi dischi. Gli album più saccheggiati sono infatti proprio Hiss Spun e Abyss, con le sue canzoni wave dark trasportate in abissi di perversa oscurità. Alla febbrile e intensa impalcatura sonora messa assieme dalla band, Chelsea aggiunge la sua chitarra, ma soprattutto una voce lirica e svettante, solo raramente sintonizzata su melodie apparentabili al pop, ma più che altro propensa a seguire un flusso emozionale attraverso cui portare l’interazione tra voce e musica ad un livello successivo.

È uno stile il suo altamente evocativo, che si prende il rischio di risultare a volte monocorde, ma che poi trafigge con flash improvvisi che qui hanno le fattezze di una Demons dal tagliente incedere punk o di una 16 Psyche torbidamente imparentata col blues, o ancora di una Feral Love straziante e accolta dal pubblico con un boato d’esaltazione. 

Sono alcuni dei momenti migliori di una performance molto intensa, sicuramente troppo breve – poco più di un’ora, un po’ poco soprattutto per chi s’era sobbarcato anche parecchi chilometri per venirla a vedere – ma comunque appagante. Chelsea, probabilmente una ragazza timida a dispetto di una presenza misteriosa e magnetica, ringrazia, si dice contenta di essere tornata qui (c’era già stata qualche anno fa, sempre in piena estate) e se ne va, lasciando che nell’aria continui a galleggiare l’eco di questa sua folk music elettrica e apocalittica.

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