In Concert

Chris Stills live a Cantù (CO), 8/4/2019

stillsNon è facile essere figlio di un artista famoso ma Chris Stills la sera dell’8 aprile in quel santuario della buona musica “minore” che è l’1 e 35 di Cantù, pur non avendo la caratura di chi ha regalato perle come For What It’s Worth, Bluebird, Helplessy Hoping, Suite:Judy Blue Eyes, Carry On e Love The One You’re With, ha dimostrato che è degno di sedersi alla tavola di famiglia, senza nutrire troppo imbarazzo verso un padre che di nome fa Steve Stills. Dal padre, Chris Stills ha ereditato lo spigliato modo di stare sul palco, simpatico ed ironico nelle presentazioni, empatico col pubblico, e la buona tecnica chitarristica, sia quando si destreggia con l’acustica, sia quando strapazza le aromatiche melodie West-Coast con una graffiante Gibson Firebird.

Introdotto dal breve set del valente  musicista romano Francesco Lucarelli, Chris Stills è subito parso stare a suo agio davanti al centinaio di “disperati” che anche di lunedì non riescono a fare a meno di ascoltare musica dal vivo. Viso da simpatica canaglia, con tratti che rimandano inequivocabilmente al padre, cappello da jazzista, giacca scura, pantaloni a quadri e stivaletti, Stills non ha perso tempo per far capire ai presenti che il suo cognome non può essere un alibi e con tre pezzi in acustico, il primo con cui invitava a seguirlo nella Sweet California, il secondo evocante una pioggia purificatrice (Just Like the Rain)  ed il terzo che richiamava l’underground (Calling Me Underground), metteva in chiaro di non essere un figlio di papà ma un vero songwriter.

Bella voce, pulita e decisa, ottimo arpeggio, melodie convincenti, un inizio che faceva ben sperare. E così è stato perché quando sul palco sono saliti i due suoi compagni di ventura, un bassista ed un batterista francesi del giro di Veronique Sanson (Stills ha vissuto per parecchio tempo a Parigi), il set ha preso una piega decisamente rock e diversi titoli del suo ultimo album, Don’t Be Afraid, sono stati investiti da una tempesta elettrica che ha evocato si la West-Coast (anche se Chris è nato in Colorado) ma quella più acida e spigolosa, con la Gibson Firebird che impazzava come se in scena ci fosse Randy California. Titoli come Hellfire Baby Jane  e In The Meantime  mostravano  la faccia sporca di un sound che l’artista con mano da performer navigato gestiva tra dolcezze e asprezze psichedeliche.

Quando si è seduto alla tastiera si è invece abbandonato a brani dalle sfumature morbide e romantiche , in particolare In Love Again e Lonely Nights, che al sottoscritto hanno fatto venire in mente Billy Joel senza dimenticare che il suo soggiorno parigino (ha lavorato perfino come attore nel film Requiem for a killer diretto da Jerome LeGris) gli ha donato un po’ l’atteggiamento gigione da crooner/chansonnier, su cui ci gioca con malizia. Ma il meglio Chris Stills lo esprime con la chitarra quando frusta il trio in un sound tagliente e jammato che Criminal Mind e Fool For Love esalta in tutte le sue spigolature. Chiude  il set invitando Lucarelli a raggiungerlo per una corale versione di Ohio, ma il pubblico non è ancora appagato.

Sono applausi sinceri, Chris Stills sorride con quel ghigno un po’ bonario ed un po’ tombeur de femme, riprende la chitarra ed in solitario delizia con tre numeri acustici tra cui la bella This Summer Love con cui racconta un suo viaggio in spider sulla Costa Amalfitana in uno stile che ricorda Harry Nilsson. Indubbiamente è innata in lui la verve per divertire e tenere la scena, calamitando l’attenzione di un locale affollato più per curiosità che per il suo curriculum, Chris ringrazia ancora e regala in trio l’ultimo assaggio di un energico folk/rock così diverso dai tanti lamenti da perdenti che ci tocca spesso sorbire qui alla periferia dell’impero. 

 

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