Foto © Lino Brunetti

In Concert

Emma Ruth Rundle live a Milano, 15/2/2023

Chi, come il sottoscritto, aveva amato e considerato Engine Of Hell uno dei dischi più belli del 2021, non poteva assolutamente mancare all’appuntamento live con Emma Ruth Rundle, cantautrice californiana protagonista di alcune date in Italia proprio a supporto di quell’album. Serate speciali, che difficilmente chi c’era potrà dimenticare, sia che si sia fatto stregare, sia che no. 

Non un disco facile Engine Of Hell, raccolta di ballate scheletriche e spettrali, ridotte assolutamente all’osso, solo voce e chitarra o voce e piano, con appena una spolveratura di violoncello, ma decisamente misurata. Un disco composto con la maggior onestà possibile, praticamente senza filtri, nel quale Rundle si metteva a nudo fronteggiando i propri demoni senza più il supporto di quelle sostanze che servivano a lenirne il dolore, ma rischiavano di trascinarla nell’abisso, realizzato con le armi di una poesia scabra e diretta, di una voce non timorosa di mettere in mostra tutta la propria fragilità emotiva, attraverso musiche minimali a supporto di parole pesanti a volte come macigni.

Per una che in passato ha riempito le sue canzoni con distorsioni e atmosfere heavy, fondendo Americana e sonorità quasi metalliche, che ha fatto parte di band come Red Sparowes, Nocturnes e Marriages, una svolta non da poco, fatta appunto per tornare alla vita e provare a esorcizzare attraverso l’arte le angosce e le turbe che l’hanno tormentata.

Il tour che sta portando in giro è di fatto la trasposizione su palco di Engine Of Hell e, sebbene lei stessa alla fine del set principale abbia scherzato sul fatto di aver imposto al pubblico di stare seduti, in silenzio ad ascoltare un gruppo di canzoni strazianti, intense, plumbee, non così facili da reggere una dopo l’altra, chi a fine show lamentava una certa uniformità d’atmosfere, un approccio fin troppo monocorde, forse non sapeva cosa stava andando a vedere, ma più che altro non ha capito che era più di un semplice concerto quello messo in scena.

Ma andiamo con ordine. Lo show a cui abbiamo assistito è stato quello di Milano, allo Spazio Teatro 89. Non è un sold out, ma le sedie del teatro sono piene quasi tutte, a testimoniare il seguito che Rundle ha anche dalle nostre parti. In apertura c’è Jo Quail, violoncellista inglese autrice di diversi album a suo nome o in collaborazione con altri, presente tra l’altro come ospite anche su Engine Of Hell. Nella quarantina di minuti in cui è stata sul palco col suo scheletrico e insolito violoncello, ha proposto quattro lunghi brani, realizzati mettendo in loop i suoni estratti dal suo strumento, ulteriormente modificati grazie all’uso di una grossa pedaliera d’effetti.

Non posso dire che conoscessi prima la sua musica, e quindi basandomi su quello che ho sentito, direi che essa si muove tra classica contemporanea, musica da camera e un intrigante sconfinamento in scenari altri, imparentati con le musiche heavy. I primi due brani, più impressionisti ed evocativi, facilmente si sono potuti identificare come appartenenti al primo gruppo, mentre gli ultimi due, ricchi di distorsioni, elementi ritmici ottenuti picchiando sullo strumento, frasi lancinanti e layers su layers di suoni, sicuramente al secondo. In entrambi i casi, una proposta ricca di fascino, che è stata parecchio gradita da un po’ tutto il pubblico in sala.

Piccola pausa ed è la volta di Emma Ruth Rundle, che sale sul palco vestita di nero, il viso truccato, un portamento teatrale. C’informa di quello che, in quest’epoca internettara in cui tutto il mistero è svelato ancor prima di compiersi, sapevamo già, ovvero che suonerà per intero e in sequenza l’intero Engine Of Hell. Dopodiché si gira verso il suo pianoforte a coda e attacca Return. In sala non vola una mosca, l’attenzione da parte del pubblico è totale, si entra come in una magnetica atmosfera satura d’emozione. La musica appare ancora più disadorna che su disco, con i pochi fraseggi di piano ad accompagnare una voce che è ancora più vulnerabile e, pertanto, ancora più struggente. Il controllo che Rundle ha su di essa è totale, la rende il veicolo dei suoi sentimenti più profondi, passando dal sussurro appena accennato al dispiegamento vocale più lirico, giocando abilmente con le sfumature.

Comprensibilmente ci vuole un certo impegno ad accordarsi a una performance del genere, che si muove su queste direttive dall’inizio alla fine, giusto alternando i pezzi al piano a quelli con la chitarra acustica, con solo una comparsata di Joe Quail in Citadel, e questo soprattutto se non si conoscevano già prima le canzoni del disco. Credo però sia impossibile non rendersi conto del valore di un’esibizione più simile a una seduta psicanalitica che a un semplice concerto, uno scavo tra i propri fantasmi portato in pubblico a scopo terapeutico e reso sublime attraverso il filtro dell’ispirazione artistica.

Perché poi, ed è questo ciò che conta, tutte e otto le canzoni di Engine Of Hell sono bellissime punto e basta, bisogna solo dargli il tempo di farsi largo nel proprio cuore. Per quello che mi riguarda, anche e forse soprattutto dal vivo, hanno saputo toccare le corde giuste e porsi come qualcosa capace di andare oltre il puro piacere estetico (del resto Engine Of Hell è un disco che potrebbe stare a fianco di lavori, per certi versi analoghi, come l’ultimo Nina Nastasia, White Chalk di PJ Harvey o Let In The Light di Shannon Wright).

Terminato il set, Emma finalmente scherza col pubblico, ringrazia della pazienza e dell’attenzione, dicendo che sa di aver chiesto molto e dando il liberi tutti se uno vuole. C’è spazio per altre due canzoni, Market Of Death e Pump Organ Song, che chiudono l’ora e dieci minuti di concerto. Un inchino, un bellissimo sorriso e via, col pubblico a prendere d’assalto il banchetto coi dischi e le magliette.

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