In Concert

Godspeed You! Black Emperor live a Milano, 18/11/2019

Sono le ultime persone a cui bisognerebbe chiedere riguardo il significato del termine post-rock, perchè probabilmente i Godspeed You! Black Emperor risponderebbero che si tratta di un vacuo vezzo della critica. E sebbene le epiche e magniloquenti sinfonie che sviluppano nel corso dei concerti, complesse e astratte quanto un capolavoro surrealista, non potrebbero definirsi in altro modo che grande musica, loro sono ancora uno dei primi nomi a venire in mente quando si cita il genere. Da qualunque parte la si guardi, comunque, l’ensemble canadese rimane uno dei più affascinanti misteri in circolazione, perché nonostante la loro musica abbia attraversato minime variazioni nel corso degli anni, confermandosi materia ostica e al limite dell’avanguardia, la loro fama è rimasta costante se non addirittura cresciuta nel tempo: lo si è potuto constatare lo scorso 18 novembre quando in un lunedì freddo e piovoso, nella serata inaugurale della Milano Music Week, la capacità dei Magazzini Generali di Milano è sembrata andare decisamente stretta ai Godspeed You! Black Emperor, capaci di attirare un numeroso pubblico della natura più eterogenea (dal neo hipster al vecchio metallaro) come raramente capita di vedere.

A parte la musica, che ovviamente rimane una vera e propria esperienza sensoriale, il concerto non prevede nessuna altra forma di spettacolo: i musicisti disposti in cerchio sul palco come in una session di studio e senza un vero e proprio leader, sebbene il chitarrista Efrim Menuck venga spesso accreditato in questo ruolo, luci fisse e piuttosto basse, brani lunghi, articolati e solo strumentali, nessuna comunicazione con il pubblico tranne un timido cenno di saluto al termine dello show (del resto non ci sono nemmeno microfoni per la voce), nessun atteggiamento plateale o gesti di intrattenimento, tutta la performance è concepita in modo che l’attenzione si concentri sul suono ed eventualmente sulle enigmatiche proiezioni di visuals che scorrono sullo sfondo (nulla comunque che riesca a dare chiare indicazioni riguardo i tanti significati politici, ecologici e sociali che la band attribuisce alle proprie composizioni).

In questi termini l’evento ha tutta l’aria di una performance artistica o di un misterioso rituale piuttosto che di un concerto, eppure l’entusiasmo è alle stelle quando uno alla volta gli otto musicisti prendono posto sul palco, costruendo pezzo dopo pezzo il grandioso crescendo di Hope Drone, canzone con cui alle 22 passate da poco si viene ammessi alla corte dei Godspeed You! Black Emperor per le successive due ore. Vista la natura della loro musica, sono appena sette le composizioni eseguite nel corso della serata, una buona parte tratte dall’ultimo lavoro di studio Luciferian Tower del ’17: lunghe suite sospese tra improvvisazione e rumorismo, tra pause liriche e esplosioni elettriche, che intrecciano elementi di rock, folk, musica da camera, jazz e avanguardia come fosse la cosa più naturale del mondo. È stupefacente e decisamente rincuorante osservare ragazzi poco più che adolescenti danzare al ritmo di una musica che, oltre a sfuggire qualsiasi definizione, non ha proprio nulla di ballabile, come accade nel corso di una splendida Bosses Hang, con una melodia scolpita da un fuzzato riff della Gibson Les Paul di Menuck; di una scenografica Glacier, pervasa da sfumature di ambient folk; del cataclisma free di Undoing a Luciferian Tower, quando sul palco si aggiunge la stupefacente sassofonista danese Mette Rasmussen, la quale aveva aperto il concerto in solitaria; di una marziale marcia dronata come Cliff, fino alla meraviglia finale della malinconica e ambientale The Sad Mafioso, salutata dalla platea come un vero e proprio classico del repertorio (del resto arriva dal loro disco d’esordio).

Sulla carta i Godspeed You! Black Emperor possono anche sembrare la più credibile testimonianza della ostinata imperscrutabilità della strada del successo, ma basta partecipare ad una delle loro fantastiche performance dal vivo per comprenderne o almeno accettarne tutte le ragioni.

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