foto: Cristina De Maria

In Concert

Grayson Capps feat. J. Sintoni live a Vignola, 23/7/2015

Lo Stones Cafè è un locale di Vignola (prima provincia modenese arrivando da Bologna) situato all’interno della piscina comunale, contraddistinto da un’acustica in genere buonissima, da una backline degna dei grandi eventi e, cosa più importante, dalla genuina passione dei suoi responsabili per qualunque musica in grado di coinvolgere il pubblico e trasmettergli emozioni autentiche. Se d’inverno i concerti vi si svolgono al chiuso, d’estate le attrezzature si trasferiscono nel giardino esterno, condizione ideale per qualsiasi cittadino in cerca di una boccata d’aria e perciò frequentata anche da famiglie, bambini o avventori occasionali in cerca di frescura e respiro quando le temperature si fanno roventi.

Lo scorso giovedì, l’aria era a dir poco immobile, nonché bollente, eppure, grazie a qualche birra, alle canzoni di Grayson Capps e alle rifiniture strumentali assicurate dalle sei corde del cesenate Emanuele “J.” Sintoni, per due ore e rotte (durata di notevole generosità) gli spettatori hanno avuto l’impressione di trovarsi sulle acque del Bayou Teche, il corso d’acqua tante volte descritto nei romanzi di James Lee Burke con protagonista il poliziotto Dave Robicheaux (benché flagellato dai refusi e da una traduzione fatta coi piedi, vi consiglio senza esitazioni anche l’ultimo Creole Belle [2012], uscito a inizio giugno per i tipi di UnoRosso, piccola casa editrice piacentina al suo esordio nelle librerie), quindi immersi in una vegetazione ricca di colori e profumi, tra querce d’acqua, foglie gialle, un tappeto verde di ninfee, lucciole e lecci appoggiati sopra il soffio caldo e regolare del fiume.

Miraggi, sì, ma piacevoli, e tutto sommato connaturati all’essenza della musica di Capps, un blues dalle qualità visive e olfattive, basato appunto sull’evocazione visiva dei panorami – Louisiana, Tennessee, la nativa Alabama – dove l’artista ha risieduto dalla nascita a oggi, forte e deciso come l’amato moonshine (ossia il whisky distillato da piccoli produttori all’epoca del Proibizionismo, molto simile alla nostra grappa) e come quello bruciante al primo sorso e denso di storia, legno, stagionatura e sfumature nei successivi. Arrivato in Italia per promuovere l’ultimo Love Songs, Mermaids And Grappa, licenziato dalla nostrana Appaloosa, al solito con i testi tradotti, e comprensivo di un CD antologico sui brani migliori della carriera e di un altro disco, inedito, con rivisitazioni e tracce nuove, Capps, armato di chitarra acustica e piatto e grancassa a pedali, ondeggia con naturalezza tra le sventagliate elettriche della distorta Taos e la dolcezza acadienne di una Washboard Lisa in malinconica chiave folk-rock, tra il ritmo sostenuto della cavalcata rock di una sempre magnifica Highway 42 all’intenso poema folk tagliato in gospel della nuova, intensissima May We Love. A testimoniare l’affetto e la sintonia per il nostro paese ci sono Drink A Little Grappa, travolgente remake della vecchia Drink A Little Poison dedicata però al liquore nazionale, uno dei due episodi (l’altro è stato I See You) in cui il nostro stacca l’amplificatore per mettersi a cantare direttamente in mezzo agli spettatori, la dichiarazione di uno studio dell’italiano allo stadio primordiale (d’altronde la traduzione non proprio elegantissima dell’altrimenti sofferta Mermaids andrebbe, diciamo, perfezionata) e una straziata versione della Summertime scritta dal compositore George Gershwin per il musical Porgy & Bess (1935), qui proposta in un formato bluesy dal punto di vista delle sonorità memore della riduzione fornitane dai Big Brother di Janis Joplin e in termini di prestazione vocale abbandonata, onirica e amara come la prima versione di Ella Fitzgerald.

Jazz, blues, canzone d’autore, visioni folk e paesaggi cajun si inseguono in un programma forse studiato, con Sintoni a incarnare l’anima più pedagogica del genere in ragione di certi assoli ineccepibili sul fronte della tecnica e Capps a ululare alla luna di una Coconut Moonshine da tramonto sulla Big Easy, a sferragliare sul ritmo pestone di John The Revelator, a intessere filamenti country sugli arpeggi di Windy And Warm (celeberrimo strumentale di John D. Loudermilk appreso tuttavia dal cantante nella parafrasi di Doc Watson), e ciò nonostante fradicio di suggestioni e incantesimi. Serata ottima, insomma, e dimostrazione rassicurante di come la musica sappia essere arte democratica per eccellenza, capace di far viaggiare una platea intera anche senza che questa si sposti per un solo minuto da quanto di magnetico e affascinante accade sul palco.

Questo mese

The Junior Bonner Playlist

Backstreets Of Buscadero

Facebook

TOM PETTY

ADMR Rock Web Radio

Rock Party Show Radio

The Blues Podcast