foto: Marcello Matranga

In Concert

James Mc Murtry & band, Chiari, 25/02/2017

JAMES MC MURTRY & Band
Chiari, 25/02/2017

Innanzitutto gli organizzatori. Un plauso a ADMR di Chiari che pur tra mille difficoltà da vent’anni organizza concerti rock di eccellente qualità con cura e attenzione dei dettagli, non ultima l’acustica delle esibizioni, generalmente il tallone d’Achille dei concerti made in Italy. Sono 168 i concerti organizzati dai tipi di Chiari dal 1997 ad oggi, un curriculum che pochi possono vantare in Italia, e sono i più rispettabili prosecutori di quell’esperienza amatoriale e artigianale che fu di Carlo Carlini di cui hanno ereditato spirito e passione. Sui diversi palchi che gli Amici per la Diffusione della Musica Rock hanno nel corso degli anni “inventato” sono passati Blasters, Los Lobos, Little Feat, Johnny Winter, Cowboy Junkies, Poco, Ian Hunter, John Mayall, tanto per fare qualche nome, e nell’appena trascorso 25 febbraio hanno ospitato il primo tour elettrico di James McMurty, il cantautore texano rivelatosi come uno degli artisti più interessanti della sua generazione.

Ospitato in veste solista al Buscadero Day del 2015, James McMurtry è stato di parola ed è tornato in Italia con la sua band dando vita a quattro show pressoché esauriti. In particolare a Chiari quasi trecento persone hanno potuto apprezzare la sua asciutta poetica rock fatta di desolate ballate da spazi desertici, storie di confine, canzoni immerse in quella America di serie B che balza alle cronache solo per fatti di sangue e quello strano modo di cantare un blues che non è blues ma un dolente canto abbandonato, basso, monocorde, cantilenante, qualcosa che lo rende un Lou Reed delle pianure. Il rock di James McMurtry è ossuto e asciutto ma le sue ballate dondolano come una Dirty Boulevard nelle lande solitarie del Texas.

Dopo l’esibizione piuttosto scialba di Richard Shindell, songwriter che ricordavo con più stoffa su disco, il palco è stato preso dall’allampanato James McMurtry, occhiali, capelli lunghi celati in parte da un cappello a larghe tese, camicia nera e jeans, il quale ha iniziato il suo lungo set con una scalpitante Bayou Tortous. Bastano poche note ed un po’ di ritmo, è quello che ci si aspetta ma è ancora più schietto, spremuto, conciso, niente fronzoli, la voce pare uscire da un orizzonte piatto ed infinito, la chitarra è secca come il Texas wind, pochi accordi significano una storia, una canzone, una ballata, di fianco a lui si mettono in evidenza lo scapigliato Michael “Cornbread” Taylor, bassista coi fiocchi e contro voce perfetta, ed un batterista, Daren Hess, ordinato e preciso, che non sbaglia un colpo.

Un trio elettrico con un esplicito indirizzo rurale, visto le rare deviazioni nel country, ma con la capacità di estendere il suono, proprio per via della sua essenzialità e asciuttezza, verso un contesto urbano. Città e campagna si sovrappongono e si intrecciano come se non ci fossero linee di demarcazione, alle ballate si accompagnano dei polverosi rock stradaioli e delle cavalcate elettriche, quando entra in campo l’altro chitarrista Timothy Holt, che fungerà anche da fisarmonicista, il suono si fa ancora più aspro pur mantenendo l’iconografia roots.

Tra i titoli più conosciuti spuntano Red Dress, Just Us Kids, una commovente You Got To Me e una Copper Canteen dove McMurtry fa il folksinger, oltre ad una sconosciuta What’s The Matter Now. Il pubblico segue in religioso silenzio pur concedendo generosi applausi alla fine del brano ma è la mente ad essere rapita da tale musica perdendosi negli orizzonti di questo agro folk-rock texano capace di farsi visionario e ipnotico. E’ la lunga Choctaw Bingo a dare una impennata al concerto. McMurtry presenta i brani con frasi smozzicate, parlando così stretto e sotto tono che è impossibile capirlo ma quando canta e suona la chitarra trasmette una sintonia a cui è impossibile resistere, pur nella monotonia di uno schema che si ripete come fossero le lentezze dell’ Ultimo Spettacolo. Scivolano via Painting By Numbers, il mezzo tempo di Every Little Bit Counts dove finalmente si sente nitida la fisarmonica, Childish Things e Fraulein O. dimostrazione di una spalmatura ad ampio raggio sui suoi dischi, quattro brani dall’ultimo Complicated Game, due da Childish Things, Just Us Kids, Saint Mary Of The Woods e Too Long In Wasteland, uno da It Had To Happen e Walk Betwwen The Raindrops.

Proprio una selvaggia versione di Too Long In Wasteland, l’album prodotto da John Mellencamp che lo fece conoscere e l’applauditissima No More Buffalo, tra i suoi pezzi più belli, accende ancora di più gli animi e porta lo show alla conclusione, dopo due ore. Schivo e ruvido da far paura (ma anche gentile visto la disponibilità nell’after-show a parlare e firmare dischi), da vero texano, James McMurtry non si fa pregare e bastano pochi fischi per riportarlo sul palco. Prima è da solo con la chitarra acustica in Lights of Cheyenne, poi accompagnato dalla band, da Richard Shindell e dall’armonicista Fabrizio Poggi sfodera l’incantevole Poncho & Lefty di Townes Van Zandt e una Dead Flowers che più che gli Stones fa venire in mente Steve Earle. Conclusione doc per una serata da ricordare.

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