Foto © Rodolfo Sassano

In Concert

Kula Shaker live a Milano, 13/05/2024

L’ultima volta che m’era capitato di vedere i Kula Shaker dal vivo era stato nel 2016, con la band da poco tornata nei negozi di dischi con quel K 2.0 idealmente a porsi quale seguito dell’esordio uscito vent’anni prima esatti. Otto anni dopo, ma non è che non siano mai più tornati in Italia nel frattempo, Crispin Mills e compagni si presentano nello stesso luogo, l’Alcatraz di Milano, con un nuovo album appena pubblicato, Natural Magick, e il rientro in formazione del tastierista originario, quel Jay Darlington che non era stato più con loro dai tempi del secondo disco, Peasants, Pigs & Astronauts (1999).

Il palco usato è quello più piccolo del locale milanese, ma la sala è bella piena di appassionati, a dimostrazione che la band inglese, pur senza essere probabilmente più riuscita a ripetere i fasti commerciali del celeberrimo esordio, è comunque ancora seguita da numerosi fan ed è rimasta nel cuore di quanti li scoprirono negli ormai lontani anni 90 (quest’ultima cosa la si denota dal prevalere, nel pubblico, di gente che gli “anta” pare averli superati da un po’).

Arrivo un filo tardi e mi perdo la band italiana in apertura, ma ho tutto il tempo di piazzarmi a centro sala mentre il locale va riempiendosi, con la musica di sottofondo sparata dalle casse a volumi insolitamente altissimi. I volumi rimarranno ovviamente oltre i livelli di guardia anche quando la band salirà sul palco, dandoci una bella botta d’energia rock’n’roll. L’inizio dello show è infatti particolarmente energico, con la nuova Gaslightning ad aprire le danze e una sequenza mozzafiato che prevede la classica Hey Dude e un’altra tripletta di pezzi nuovi che uniscono melodia, ritmi incalzanti e vigore elettrico (Waves, Natural Magick, Indian Record Player).

A guardare le scalette dei tour precedenti si nota immediatamente quanto stavolta la band, al contrario di altre volte, abbia parecchia voglia di suonare le canzoni nuove, nelle quali evidentemente crede molto. Sarà per il rinnovato sodalizio con Darlington, che dietro il suo organo Hammond sembra un misto tra un Greg Allman redivivo e Gandalf, ma alla fine proprio Natural Magick risulterà essere l’album più saccheggiato.

Dal periodo senza Darlington arriva solo la bella Infinite Sun, tratta dal citato K 2.0, mentre tutto il resto della scaletta è caratterizzato da una giusta alternanza tra pezzi nuovi e classiconi tratti dai primi due dischi, con ovvia predilezione per il mitico K. Tra i primi vale la pena segnalare la Bringing It Back Home indianeggiante appena apparsa su un “Double A side single” e la doppietta contro la guerra (e le tasse) Idon’twannapaymytaxes/F-Bombs, con la prima presentata quale pezzo rubato al proprio figlioletto e la seconda cantata col coinvolgimento di tutto il pubblico.

Mills è un frontman parecchio credibile, scatenato, coinvolgente, soprattutto è un chitarrista che sa il fatto suo, sia quando affila le corde per consegnarci riff killer, che quando si lancia in stringati assoli. La sezione ritmica formata da Alonza Bevan (basso e voce) e Paul Winterhart è sempre dinamica ed elastica, ma poi c’è ovviamente l’organo di Darlington a riempire ulteriormente gli spazi e a offire quella giusta grana vintage al suono. Stupenda come sempre Grateful When You’re Dead/Jerry Was There, così come la psichedelia beatlesiana di un pezzo come Shower Your Love, e pazienza, peccato veniale, se quando si sentono sitar e tablas o la voce femminile di Happy Birthday, queste arrivano da delle basi.

Finale chiaramente in trionfo, dapprima col rock’n’roll british di 303, poi con l’irresistibile Tattva e la loro classica cover di Hush. Ancora meglio nel bis, col super hit Govinda, ovviamente cantato da tutti, e con una cover di Groove Is In The Heart, affondo R&B che era dei Deee-Lite.

Il culto che li circonda è senza dubbio giustificato. I Kula Shaker rimangono una garanzia.

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