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Come Manchester divenne Madchester, una storia del profondo Nord inglese

IMG_1360Lo spunto per questa riflessione sulla vivace e duratura scena musicale di Manchester nasce dalla pubblicazione, da parte della attivissima Cherry Red Records,  di un lussuoso box-set di ben 7 CDs, intitolato: Manchester – North Of England – A Story Of Indipendent Music Greater Manchester 1977-1993, corredato da un prezioso libro di quasi 100 pagine, curato dal giornalista principe dell’era mancuniana, Mick Middles  e dotato di una accorata introduzione di Mark Radcliffe. Il libro più i 7 cds tracciano la  storia musicale del periodo più eccitante della  settentrionale città inglese. Il box-set è stato redatto con il supporto del MDMA (Manchester District Music Archive) ed è davvero esaustivo, coprendo in (quasi) stretto rigore cronologico il periodo che va dalla fine degli anni ’70 (appena dopo l’esaurirsi della spinta sovversiva del punk), partendo dai Buzzcocks, per arrivare all’alba del Brit-pop con gli Oasis.

Manchester alla fine degli anni ’70 era una città alla ricerca di una sua nuova propria identità, dopo la fine del periodo industriale che aveva lasciato un centro città quasi abbandonato, pieno di vecchi edifici che erano solo il ricordo di vecchie vestigia non più riproponibili. Anche dal punto di vista musicale Manchester, che pure fu la culla di alcune realtà musicali degli anni ’60, quali Wayne Fontana & The Mindbenders, Freddie & The Dreamers, The Herman’s Hermits, The Hollies, era diventata davvero una insignificante città della periferia dell’Impero Musicale Britannico che aveva in Londra il suo cuore pulsante di novità e di effervescenza, di locali, di etichette discografiche, di giornali e televisioni. Ebbene per tutti gli anni ’80 questa vecchia città  industriale fu la sede di una sorta di rinascimento musicale e multimediale che la portò a rivaleggiare con la capitale nel mondo musicale britannico proponendo stili, mode e tendenze che avrebbero lasciato un’impronta destinata a rimanere nella  storia.

Questa compilation racchiude ben 146 brani attribuibili tutti ad artisti diversi ed i rischi di  dispersione sono ovviamente presenti, soprattutto perché almeno la metà dei musicisti/gruppi presentati sono decisamente minori e forse del tutto sconosciuti anche ai più appassionati cultori dei riti musicali mancuniani.

L’interesse per la scena  musicale di Manchester data da molti anni fa, quando uscì un seminale Lp/cassetta della BOP Cassettes che raccolse 14 tracce di brani inediti e di cui la presente raccolta eredita  il titolo e  la foto di copertina, riconoscendosi debitrice dell’idea di fondo. Certo  si corre il rischio di perdersi in un rivolo di correnti musicali,  in quanto, anche se la scena fu dominata dalle chitarre, essa  lasciò spazio anche a reggae, soul, singer-songwriters, hip-hop, avanguardia, techno-Industrial, dance. I brani presentati sono quasi 150, tanti quanti  gli artisti inclusi nell’antologia e questo metodo, pur privilegiando un valido criterio di esaustività, non dà un peso specifico maggiore agli artisti di rilievo che  la scena di Manchester ha prodotto, anche se permette di recuperare una miriade di artisti validi ed interessanti.

La scena di Manchester pare abbia avuto inizio alla Lesser Free Trade Hall nel mese di giugno del 1976, durante un tour dei Sex Pistols, che ebbero come gruppo spalla la band locale dei Buzzcocks, guidata da un certo Howard Devoto. La sera fu (almeno per i posteri) memorabile. Pare che il concerto si sia svolto davanti ad un totale di 42 persone, ma tra questi vi erano: Mark E. Smith che avrebbe poi fondato The Fall (forse la band di Manchester più longeva), Mick Hucknall poi fondatore dei Simply Red, Peter Hook e Bernard Sumner che poi avrebbero dato vita ai Joy Division e ai New Order, un certo Morissey che poi avrebbe dato vita a The Smiths (la cui assenza è l’unica lacuna vera di questa compilation, forse per motivi di copyright) e buon ultimo un Dj televisivo di nome Tony Wilson che sarebbe stato uno dei fondatori della Factory  Records, uno dei marchi che avrebbero caratterizzato la vita musicale e notturna della futura Madchester. Come si vede fu proprio l’ondata punk a stravolgere il sonnolente panorama notturno della città industriale del Nord e a iniziare a smuovere le sue stagnanti e fredde acque musicali.New Order

Il percorso che ci fa esplorare  questo prezioso boxset si snoda in sette capitoli/dischi, ognuno  ha un suo titolo e il testo accompagnatorio del libro permette di seguire, davvero passo dopo passo, il procedere dello sviluppo musicale e culturale di una città che mostrava tutti i brutti segni di una città industriale, con periferie piene di squallide casette popolari, mentre il centro pareva essere una “no man’s land”; non c’erano locali che potessero accogliere i giovani, i pub chiudevano presto e i pochi night-club erano dei sopravvissuti di un’era che sconfinava negli anni ’50. Mark Radcliffe si chiede: “Era un posto ideale per viverci? Proprio no! Avremmo potuto benissimo essere a Berlino Est, subito dopo la costruzione del muro… e poi ci fu il debutto dell’EP dei Joy Division, con quel titolo che fotografava satiricamente la situazione di  Manchester: An Ideal For Living Era: sembrava fredda. Lo era. Sembrava non amabile. Lo era. E non lo era…”. 

Il merito fu tutto di questi orgogliosi Nordici Mancuniani (Mancunia era il nome latino della città) che volevano fare le cose a modo loro ed insegnare  a quelli del Sud (i Londinesi), una cosetta  o due, per quanto riguardava la musica. Loro non avevano bisogno delle corporations Londinesi per avere il permesso di fare musica e pubblicarla, loro “potevano fare lo show proprio lì”.  Forse però  il vero inizio del movimento va attribuito al primo disco dei Buzzcocks, Spiral Scratch che,  sulla spinta della famosa serata sopra citata,  sembrava voler mostrare che la musica poteva essere fatta lì, proprio allora! La nuova colonna sonora era arrivata e le cose non sarebbero più state le stesse.

OasisCi fu il nascere di una prima label discografica locale, la Rabid Records, Tony Wilson portò in TV grandi bands U.K. e USA  al suo Show televisivo locale “So It Goes”; ci fu il ritorno, questa volta alla grande, dei Sex Pistols  al The Electric Circus, ci fu la nascita della Factory Records con Wilson, Alan Erasmus e Alan Wise, cui seguì l’apertura di locali musicali che divennero punti di aggregazione giovanile. Tutto questo si può leggere ed ascoltare nel boxset della Cherry  Red Records.

Ecco la sequela dei dischi, con alcune annotazioni:

  1. Crancked Up Really High (1977-80), che racconta l’irrompere del punk a Manchester, l’apertura di nuovi locali, come The Electric Circus che ospitò l’Anarchy Tour dei Sex Pistols, The Russel Club; la nascita di fanzines e tanta musica: The Buzzcocks, il poeta maledetto John Cooe Clarke, The Distractions con il loro soul-punk di derivazione mod, i  Joy Division, qui con la loro seminale She’s Lost Control, ma anche gli strepitosi Magazine di Howard Devoto (primo cantante dei Buzzcocks) e Barry Adamson, il reggae degli Harlem Spirit. Degna di segnalazione  anche la presenza di un singolo dei Nosebleeds, un gruppo famoso per gli artisti che vi sono transitati ma non rimasti: Morissey, Billy Duffy, Vini Reilly e dei The Frantic Elevators con un giovanissimo Mick Hucknall.
  2. Big Noise In The Jungle (1979-81) racconta il periodo della Factory Records (sin dalla copertina) di Tony Wilson e Alan Erasmus e del locale che raccoglieva la crema della nascente Wave di Manchester, il Fac 251 “The Factory”. Ascoltiamo così la sorprendente nascita di The Fall di  Mark E. Smith, vivi e vegeti fino alla recente dipartita di Smith e che sarebbero poi divenuti la band favorita di John Peel, gli strani Mothmen, i Morriconiani Bet Lynch’s Legs, i Durutti Column del poetico Vini Reilly nel commovente strumentale Lips That Would Kiss dedicato allo scomparso amico Ian Curtis, i prototipali Mancuniani A Certain Ratio,  lo strano  jazz dei Bee Vamp. Ma forse la chicca assoluta del disco è data dal debutto, con In Sheed dei The Chamelons, vero tesoro nascosto di Manchester, che pur senza vestire di nero diventarono una punta del Goth Rock in tutta Europa e i simpatici Fast Cars con lo scanzonato punk-rock di The Kids Just Wanna Dance.
  3. Love At The Hacienda (1982-85) che ci introduce alla inaugurazione del Club per eccellenza The Hacienda, avvenuta nel Maggio 1982, locale che creava un ponte ideale con New York; ecco che dalle ceneri dei Joy Division, orfani di Ian Curtis, nascono i più pop-dance New Order,  con il classico “floor-filler” Temptation, il soft sound di Carmel, il new-jazz sofisticato degli Swamp Children, la mitica Nico (orfana dei VU) che incide a Manchester una lugubre Procession con The Invisible  Girls, l’eccentrica Jane, i Section 25 autori di una strana mistura tra avanguardia e Dance-ambient.
  4. Garage Full Of Flowers (1986-87) che ci porta dentro due nuovi locali The International e The Boardwalk, la nascita della rivista musicale Debris; le band emergenti nel periodo sono i sofisticati James protetti degli Smiths, il perfetto mix di Dance, soul, jazz, reggae degli Yargo, Edward Barton denominato “The Manchester busker”, Big Ed & His Rocking Rattlesnakes, con il loro selvaggio rockabilly, i Thirst nati dalle ceneri dei fragili Blue Orchids e gli Inspiral Carpets, qui con  il raro Garage Full Of Flowers, nella versione uscita in un flexi, allegato alla rivista Debris.markesmith.
  5. 24 Hour Party People (1987-88) fotografa l’ascesa di quello stato della mente che venne poi chiamato Madchester, la città dell’acido, della trance e della dance, ormai la locale Oldham Street veniva paragonata alla Haight-Ashbury dei tempi d’oro, nel bene e nel male… Ecco sorgere bands che desideravano essere stili di vita, come gli Happy Mondays, “the boy with his guitar”, Johnny Dangerously che avrebbe poi fondato gli I Am Kloot, l’esordio di Morissey e di Barry Adamson;  la nuova scena jazz esprimeva i Jazz Defektors, mentre all ‘Hacienda muoveva i primi passi A Guy Called Gerald. Da segnalare anche i Welleriani (era Jam) Bradford e Too Much Texas.
  6. What The World Is Waiting For (1989-90): l’Hacienda continuava a dominare la scena, ma altri clubs riempivano Manchester, come The Thunderdome; la dura realtà  irruppe però sulla scena, la morte di una ragazza all’Hacienda per overdose di Ecstasy, obbligò Tony Wilson alla chiusura, anche in seguito a sparatorie avvenute davanti al locale. Le droghe e la malavita stavano man mano prendendo il sopravvento sulla musica. Anche il Thunderdrome venne chiuso dalla polizia, mentre la Factory Records parve  aver smarrito il suo fiuto discografico. Comunque di buona musica ce n’era ancora parecchia: The Stone Roses destinati ad essere una meteora sfolgorante, il Noise-punk dei Dub Sex, i carismatici Jerks, i geniali Electronic, qui presenti con Getting Away With It, una della migliori canzoni U.K. del periodo, i Revenge del bassista dei New Order, Peter Hook, gli psichedelici Northside e parecchio rap, come: Mc Buzz B, Mc Tunes vs 808 State, Ruthless Rap Assassins.
  7. Sons Of The Stage ( 1990-93) fotografa l’arrivo del festival musicale In The City, più un incontro, un seminario aperto per artisti, che caratterizzerà i primi anni ’90 di Manchester, diventata così fulcro delle avanguardie musicali non solo U.K. Il settimo disco ci porta bands indie come The Charlatans, la techno-house internazionale dei Chemical Brothers, il ritorno di Shaun Ryder con Intastella ed infine gli Oasis di cui viene riportato il demo di Columbia del 12/93, uno strumentale di Noel Gallagher che portarono alla Factory per ottenere un contratto, la bella sorpresa della voce di Tracy Gordon con i suoi Swirl.  Ma ormai l’era del night-clubbing di Madchester e della Factory Records era  finita e i risultati di questa “mini-era” musicale aurea, destinati ai posteri, sono tutti racchiusi qui in 7 dischetti pieni ancora di tante sorprese da recuperare con orecchie attente.

 

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