Foto: Lino Brunetti

In Concert

Radio Moscow live a Milano, 11/5/2018

Sta diventando opinione comune che la musica con le chitarre si stia approssimando all’estinzione o, peggio ancora, all’irrilevanza. A giudicare da certi giudizi tranchant della bibbia hipster per eccellenza, Pitchfork, o dalla preponderanza di musica elettronica nella line up del Primavera Sound di quest’anno – giusto per fare due esempi – parrebbe esserci qualcosa di vero. Poi però guardi ai tuoi scaffalli, quelli dove riponi le nuove uscite, e pensi alle tonnellate di nuova musica basate sulle chitarre che esce mensilmente e che è in giro in tour (parlo di nuove band, ovviamente) e un punto di domanda si forma sulla tua testa. Forse è vero che i giovanissimi vanno da tutt’altra parte e ascoltano tutt’altra roba,  che altre sono le musiche che raccontano questi tempi, però questa storia che il rock stia diventando una musica minoritaria mi convince in fondo poco.

Il pubblico non sarà più quello di un tempo, ok, ma in giro c’è ancora un sacco di gente che trova una ragione per credere nel sound potente ed elettrico di una rock’n’roll band, nel potere taumaturgico di una musica che di essere trendy e a là page se ne frega assolutamente, preferendo alla fuggevolezza di mode che il più delle volte di nuovo hanno solo il nome con cui vengono definite, la solida eccitazione di una musica pensata per arrivare dritta al punto senza filtri di sorta. Un po’ questo devono avere pensato i tanti che l’11 maggio hanno riempito gli spazi dell’Arci Ohibò, bellissimo locale posto nella periferia di Milano, la cui programmazione è sempre stimolante, ricca, varia al punto giusto. Per inciso, assieme a qualche inevitabile veterano tipo il sottoscritto, piuttosto nutrita, se non addirittura preponderante, è stata la partecipazione di un pubblico parecchio giovane, ulteriore schiaffo in faccia ai luoghi comuni di cui sopra, cosa ancor più stupefacente, se vogliamo, considerando che i Radio Moscow sembrano, a partire dal look, una band arrivata fino a noi con una macchina dal tempo che li ha sputati fuori direttamente dagli anni ’70.

Fondati tre lustri fa nella piccola Ames, in Iowa, dal chitarrista e cantante Parker Griggs, negli ultimi anni i Radio Moscow si sono trasferiti a San Diego, inserendosi perfettamente nella florida scena musicale cittadina (vi dice nulla, per dire, il nome degli Earthless?). Sopravvissuti, qualche anno fa, ad un momentaneo scioglimento che ha portato Griggs a rivoluzionare la formazione – oggi con lui ci sono il bassista Anthony Meier (anche nei Sacri Monti) e il batterista Paul Marrone – i Radio Moscow sono autori di una discografia comprendente cinque album e un live, con l’ultimo New Beginnings ancora fresco di stampa, essendo uscito nella seconda metà dell’anno scorso.

Sono un power trio che sa come tenere in mano e come usare i propri strumenti, Griggs e compagni. Nella loro musica confluiscono psichedelia, blues, hard-rock, impeto garage e la tendenza a sciogliere il tutto in infuocate e visionarie jam chitarristiche. Se in primis a farsi notare è la torrenziale abilità di Griggs a perdersi in assoli fluviali al calor bianco o in massicci riff ultra blues, non da meno sono gli altri due, capaci di tenere tutto assieme in un mix esaltante di potenza e fantasia, soprattutto per quello che riguarda l’incessante lavorio al basso di un funambolico Meier. Definirli originali sarebbe magari una forzatura, ma i Radio Moscow hanno i pezzi e l’abilità per risvegliare il fantasma di formazioni ineludibili quali Cream e Led Zeppelin, di titillare la memoria di band più oscure tipo i Mad River o di fornire una loro versione tutta personale dello stoner o di una forma di rock blues particolarmente vibrante e rumorosa.

La scaletta, comprendente alcuni brani dell’ultimo disco, ma ben più di un attestato proveniente da quelli precedenti, ha preferito orientarsi su brani con il piede sull’acceleratore – del resto nel pubblico c’era chi continuava ad urlare “louder, louder”, nonostante le orecchie stessero già fumando abbondantemente – lasciando soltanto qualche sporadica e atmosferica oasi di liquida psichedelia visionaria qui e là. In entrambi i casi un trionfio di sound chitarristico in bilico tra tecnica e furore, che ha mandato letteralmente in visibilio i presenti. Che ci sia davvero qualcuno capace di rimanere indifferente di fronte a tutto ciò mi pare francamente impossibile, ma se così dovesse essere, l’unica cosa che mi verrebbe in mente sarebbe quella di essere sinceramente dispiaciuto per lui.

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