Recensioni

The New Basement Tapes, Lost On The River

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Lost on The River
Electro Magnetic/Harvest/
Universal 2 CD
***½

Nel 1998 Wilco e Billy Bragg hanno avuto la rara opportunità di mettere in musica una serie di liriche di Woody Guthrie: liriche che il menestrello aveva scritto molti anni prima e che erano rimaste seppellite nei suoi archivi: una opportunità più unica che rara che sia i Wilco che Bragg non si sono lasciati sfuggire.
Mermaid Avenue, il risultato di quel lavoro, venne pubblicato su due dischi diversi (e ce ne era anche un terzo, uscito diversi anni dopo) ed ebbe critiche entusiastiche e vendite consistenti. Mermaid Avenue è diventato uno dei dischi più considerati degli anni novanta e, anche se la musica non aveva punti di contatto con Woody Guthrie, l’operazione ha avuto una grande eco, come se la leggenda fosse stata resuscitata. Lost on The River nasce dagli stessi presupposti.
Bob Dylan in persona, dopo avere ritrovato una serie di liriche, scritte nel 1967, decide di affidarle a T-Bone Burnett, perché le tramuti in musica. Il concetto è lo stesso di Mermaid Avenue, anche se c’è una sostanziale differenza di fondo: infatti nel caso di Mermaid Avenue le teste pensanti erano due, cioè Bragg e Jeff Tweedy, con parziale aiuto dai Wilco, molto parziale. Qui sono diverse: infatti T-Bone, dopo avere accettato, ha messo assieme una serie di musicisti, abbastanza diversi tra di loro: Elvis Costello, Jim James (My Morning Jacket), Rhiannon Giddens (Carolina Chocolate Drops), Taylor Goldsmith (Dawes) e Marcus Mumford (Mumford and Sons).
Musicisti magari con idee anche simili ma con radici abbastanza diverse: ed il risultato è, facendo le debite differenze tra musicisti e canzoni, abbastanza simile. Come nel caso di Mermaid Avenue, anche Lost on The River non ha delle somiglianze con l’autore, cioè Bob Dylan: c’è chi si avvicina magari di più, come idee di base non come musica (la Giddens, Mumford e, in parte, Goldsmith), mentre altri sono decisamente lontano (Costello e James). Quindi poco dylaniano nella struttura dei brani (Nothing to It, il primo singolo, è più vicino a John Lennon che a Dylan), Lost on The River rimane un disco di canzoni.
Un disco solido, ben suonato, cantato con forza, prodotto in modo estremamente professionale: ma se cercate di trovare una nuova Like A Rolling Stone o il seguito di Desolation Row, questo disco non fa al caso vostro. Anche perchè la musica non è di Bob Dylan. E’ un disco di canzoni, alcune decisamente belle, altre normali.
20 canzoni nell’edizione De Luxe e la voce insistente che questo sia il primo volume, tanto per farci capire che, come per Mermaid Avenue, tra un po’ ci attende un secondo capitolo. Burnett ha riunito i musicisti nella torre della Capitol di Los Angeles, dove c’è uno dei migliori studios di registrazione americani, dal punto di vista tecnico, ed ha dato ampia libertà ai ragazzi. Le influenze sono molteplici: rock, folk, country, americana, blues. I suoni sono studiati con gusto e le voci si bilanciano anche se io preferisco quelle di Rhiannon Giddens e Marcus Mumford. Venti canzoni (ne ho in mano solo 15), per un ascolto lungo, decisamente piacevole.
Ovviamente il disco evidenzia i vari caratteri dei musicisti: la Giddens e Mumford sono più folk, folk rock, blues e gospel. Jim James è sofisticato e con Dylan centra poco (sopratutto un brano come Hidee Hidee Ho), mentre Costello è Costello e Taylor Goldsmith mischia rock e radici in modo costruttivo. Down on The Bottom vede Jim James alla voce: ballata solida, abbastanza lenta, ma con intuizioni melodiche interessanti: sopratutto il ritornello, che richiama il titolo, ha un che di evocativo. Married to My Hack è tipical Elvis Costello: una canzone sghemba, in bilico tra old Elvis e new intentions. A conti fatti non particolarmente riuscita. Kansas City è invece splendida: Marcus Mumford e Taylor Goldsmith sono i due protagonisti di una canzone dalla timbrica forte, solare, diretta e coinvolgente. Sia le voci che la melodia risultano irresistibili e la canzone brilla di luce propria, un insieme di suoni, colori, intuizioni, melodie che alla fine risulta intrigante. Spanish Mary ha un intro folkie, si capisce subito che la protagonista è Rhiannon Giddens. La canzone vibra di tradizione e scivola avvolgendosi in una musicalità propria. Echi folk e gospel, rimandi al suono dei padri, alle tradizioni lontane. Un po’ come nei dischi dei Carolina Chocolate Drops.
Libery Street è una ballad classica, pianistica, in stile californiano. Il protagonista è Taylor Goldsmith dei Dawes (il più prolifico, come autore): ottima scrittura, la canzone è bella, fluida e assolutamente piacevole. Bello l’uso del pianoforte. Jim James di nuovo protagonista con Nothing To It, una canzone dalla timbrica solare, molto ben costruita: ottimo l’uso della voce ed il castello melodico è convincente. When I Get My Hands on You è ancora una collaborazione tra Mumford e Goldsmith, non bella come Kansas City, ma sempre fatta con gusto. Molto bella Duncan & Jimmy con Rhiannon Giddens alla voce ed alla scrittura. Canzone folk, trionfale nella esecuzione, splendida nel suo assunto. Sembra uscita veramente da un songbook di cinquanta e più anni fa, tanto la sua struttura è antica. E l’esecuzione è fresca, agile, godibile, straordinariamente comunicativa.
Lost on The River (#12) è di Costello. E qui ci troviamo di fronte al Costello più classico, il vero Costello: intimista, balladeer, interiore, intenso e profondo. Una signora canzone. Florida Key è di Taylor Goldsmith da solo: non male, la voce è narrativa ed il brano ha un profumo folk rock. Se Hidee Hidee Ho (Jim James) è forse la meno interessante del disco (ma non è certo brutta), Stranger (Marcus Mumford) è invece una delle più belle. L’atmosfera è quella del racconto folk, ma in versione rock, con un melodia struggente, una voce perfetta ed una sonorità splendida. Il violino in sottofondo, il ritornello popolare, conferiscono alla canzone una struttura solida ed i testi (ovvio) sono tra i migliori del disco. Card Shark (ancora Goldsmith) si avvicina a Florida Key, gradevole, piana, ben costruita. Six Months in Kansas vede Costello di nuovo protagonista, in una canzone rock, abbastanza diretta, con contaminazioni folk e gospel. Una seconda versione di Lost on the River (20) vede protagonista la Giddens e Mumford ed è completamente diversa rispetto alla versione di Elvis Costello. Rhiannon canta come se stesse rileggendo Ol’ Man River e l’atmosfera è molto gospel-folk.
Un disco che ha un nobile lignaggio e che, pur non essendo dylaniano dal punto di vista musicale, offre una manciata di canzoni ben costruite, canzoni che si possono scoprire lentamente, gustare di conseguenza, nota dopo nota. T Bone Burnett, the man behind the music, rimane sempre una sicurezza: i dischi dove appare lui in veste di produttore hanno sempre qualche cosa in più, rispetto alla media.

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