Foto: Lino Brunetti

In Concert

Soap&Skin live a Milano, 8/4/2019

Devo dire che non sapevo bene cosa aspettarmi da questo concerto: amo molto i dischi di Soap&Skin, pseudonimo della cantautrice e musicista austriaca Anja Franziska Plaschg, ma non ero del tutto sicuro che le sue canzoni potessero rendere in sede live allo stesso modo, forse anche condizionato dalle cronache che parlavano di un personaggio emotivamente problematico. Non potevo essere più in errore! Indubbiamente Anja non è quello che si potrebbe definire un animale da palcoscenico, mette in mostra quella che sostanzialmente appare essere una gran timidezza e quasi una sorta di pudore, ma il malessere che la attanagliava i primi tempi sembra essere sfumato in una raggiunta maturità e in una serenità probabilmente in buona parte dovuta anche al suo essere diventata madre. Una serenità che si vede anche nel recentissimo e bellissimo From Gas To Solid/You Are My Friend, album numero tre in dieci anni di carriera.

Mentre un po’ alla volta il Santeria Social Club di Milano si riempie in ogni dove, on stage, al pianoforte, c’è Jungstötter, cantautore tedesco dalla passionale voce a là Anhoni, che per una mezz’ora circa ci intrattiene con le sue ballate pianistiche che, ammette, usualmente suona con una band.

Sul palco non c’è solo il pianoforte e questa è un’altra delle sorprese della serata per il sottoscritto. Mi aspettavo un concerto per piano e voce, tutt’al più con qualche electronics, è invece Anja è accomapagnata da ben sette musicisti, due ai fiati, quattro agli archi e uno che si divide principalmente fra percussioni, batteria, vibrafono e xilofono. Lei ovviamente canta e suona il piano, in un pezzo anche la chitarra elettrica. Il suono minimale degli album, senza essere necessariamente stravolto, si colora così di una sontuosa patina cameristica, terreno ideale sulla quale far dispiegare le bellissime melodie. Si, perché Soap&Skin sarà anche timida, ma quando suona e canta, questa ritrosia scompare del tutto in un istante e la sua voce ti punta dritto all’anima, ti prende il cuore e te lo strizza, fa fluire letteralmente l’emozione. 

Ed è una cosa che avviene fin dall’inizio quando, in una sala insolitamente silenziosa, in cui era palpabile una tensione attendista tagliabile con un coltello, Anja fa partire una This Day particolarmente quieta e avvolgente, un po’ alla volta accarezzata dal fiorire degli strumenti attorno alla sua voce. Poi si sposta al piano ed è da lì che inanella una in fila all’altra pezzi come Athom, Creep, una Foot Chamber decisamente più intensa che su disco, chiusa tra l’altro da un rombo dissonante di chitarra elettrica e Cynthia, l’unico estratto dall’esordio. La base di queste canzoni rimane pianistica, ma archi, fiati e tutti i suoni che si sentono le rendono un autentico distillato di poesia sonora.

La bravura della Plaschg si è vista poi nella gestione delle numerose cover suonate, a partire da una Voyage, Voyage dei Desireless che, da pezzo synth pop anni 80, nelle sue mani diventa un inno drammatico e straziante di difficile sostenibilità emotiva, tanto che sarà uno degli highlight del concerto, quantomeno assieme alla sua Vater, brano dai fragorosi scoppi orchestrali, in grado di mettere in mostra non solo un suono quasi epico, ma anche la bravura del fonico in questa serata (suono perfetto!) o a quella Goodbye realizzata con Apparat e diventata sigla della bella serie TV “Dark”.

Assai meno monocorde di quanto si poteva supporre, il concerto si è mosso dal pop melodico di Italy  alle rivisitazioni di pezzi quali Me And The Devil Blues (Robert Johnson), Gods And Monsters (Lana Del Rey), passando per una Mawal Jamar capace di rendere conturbante un pezzo di Omar Souleyman, per approdare poi ad una sognante Pale Blue Eyes dei Velvet (ovviamente bella, ma forse l’unico momento un po’ telefonato) e al finale arioso di What A Wonderful World, tra gli applausi e le urla di un pubblico caldissimo conquistato senza misure, sottoscritto compreso.

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