Recensioni

Stephen Malkmus & The Jicks, Sparkle Hard

Malkmus-jicks-Sparkle-Hard-e1522074214155STEPHEN MALKMUS & THE JICKS
SPARKLE HARD
DOMINO
***1/2

Sparkle Hard, album numero sette per Stephen Malkmus & The Jicks, vede l’ex Pavement e i suoi compagni nell’impegnativo compito di provare a suonare freschi e nuovi, pur senza abbandonare quella che è sempre stata la loro cifra musicale. Incredibilmente ci riescono alla grande, offrendo undici canzoni pimpanti, molto melodiche, leggere senza essere evanescenti o banali. Che Malkmus sappia scrivere lo sanno anche i sassi, ma in passato qualche arzigogolatura di troppo ne aveva forse attenuato l’ispirazione. Qui invece è del tutto concentrato a fare quello che gli riesce meglio, ovvero mettere in piedi grandi melodie pop (comunque mai eccessivamente dritte, sempre leggermente deviate), contornate da arrangiamenti strumentali mai semplicistici o tirati via.

Registrato a Portland con Chris Funk dei Decemberists come produttore, Sparkle Hard aggiunge anche qualche elemento nuovo, alieno in qualche caso, alla tavolozza sonora che la band (oltre a Malkmus a voce e chitarra, Joanna Bolme al basso, Mike Clark alle tastiere e Jake Morris alla batteria) usa abitualmente. L’elemento più bizzarro è l’utilizzo del famigerato e odioso auto-tune in qualche pezzo, qui però non irritante come al solito. Sarà che è stato usato con parsimonia, oppure che è il contesto ad essere del tutto avulso da quello in cui viene di solito usato (qui, nell’oscuro seventies-prog Rattler, nel folk poppeggiante Brethren e nella seconda parte del lungo pezzo conclusivo), ma non mi sentirei di criticarne (troppo) l’utilizzo.

Per il resto, in qualche brano fa capolino un violino ad aggiungere carne al fuoco (nella pigra e rilassata ballata loureediana Solid Silk, nella citata Brethren, nel duetto agreste in salsa country Refute, con ospite Kim Gordon alla voce), anche se sono sempre la voce e la chitarra di Malkmus i veri protagonisti. Lo sono nella semplicità irresistibile di Cast Off o nella cristallina e frizzante Future Suite; nel vigore garage rock smorzato da venti pop di Bike Lane; in una Middle America serena eppur malinconica come una serata di fine estate; nell’indie-rock chitarristico Shiggy; in quel misto tra folk, r&b e psichedelia intitolato Kite, tra l’altro chiuso da un torrenziale assolo di chitarra; in quella sontuosa ballata che è Difficulties, prima di sfociare nella sua seconda parte, Let Them Eat Vowels, groovata e pulsante. Direi insomma che Malkmus è ancora in ottima forma!

 

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